La recente tornata elettorale in Giappone ha segnato una svolta significativa nel panorama politico nazionale. Domenica 2 novembre 2025, la coalizione di governo guidata dal premier Shigeru Ishiba ha subito una pesante battuta d’arresto, perdendo il controllo della Camera alta. Questo evento segna un momento senza precedenti nel Giappone del dopoguerra, poiché per la prima volta un esecutivo ha perso la maggioranza in entrambe le Camere del Parlamento.
Risultati delle elezioni
La Camera dei Consiglieri, a differenza della Camera dei Rappresentanti, non può essere sciolta durante i sei anni di legislatura; essa rinnova metà dei suoi membri ogni tre anni. In questa tornata, erano in palio 174 seggi di medio termine, oltre a uno vacante nella circoscrizione di Tokyo. Per mantenere la propria maggioranza, Ishiba avrebbe dovuto conquistare almeno 50 seggi, ma si è fermato a 47. Attualmente, la coalizione, composta dal Partito Liberaldemocratico (PLD) e il partito buddista Komeito, conta 122 seggi, un calo di 19 rispetto al passato, mentre l’opposizione ha guadagnato terreno, arrivando a 126 seggi, con un incremento di 27.
Partiti in crescita
Il principale partito dell’opposizione, il Partito Democratico Costituzionale, ha mantenuto i suoi 22 seggi, ma altre formazioni hanno visto un aumento significativo dei loro rappresentanti. Il Partito Democratico Progressista (PDP) è passato da 4 a 14 seggi, mentre l’ultradestra del Sanseito ha incrementato il proprio numero da 1 a 14 seggi.
Prospettive per il governo
La situazione per Ishiba si fa sempre più complessa. Attualmente, la coalizione dispone di 220 deputati sui 465 della Camera Bassa e di 122 su 248 al Senato. Questa aritmetica parlamentare influenzerà inevitabilmente la governabilità del Paese. Nei prossimi tre anni, il premier sarà costretto a gestire maggioranze variabili e a cercare alleanze per l’approvazione dei singoli provvedimenti. Le sue possibilità di avviare politiche di ampio respiro appaiono compromesse, in un contesto internazionale sempre più difficile, aggravato dalla recente crisi dei dazi, che ha coinciso con il voto.