In Medio Oriente, l’immaginazione si rivela talvolta più insidiosa delle armi. Il recente video diffuso dalla ministra israeliana dell’Innovazione, Gila Gamliel, ne è un chiaro esempio. L’animazione, realizzata con l’ausilio di intelligenza artificiale, ritrae una Gaza futuristica, simile a una Las Vegas affacciata sul Mediterraneo, caratterizzata da grattacieli di vetro, yacht nei porti turistici e spettacolari fuochi d’artificio. In questa rappresentazione non emergono segni di guerra, distruzione o occupazione, e soprattutto, non vi è traccia della presenza palestinese. Il messaggio finale è inequivocabile e brutale: “O noi o loro”.
Una visione distopica
Dietro l’apparente modernità di questo video si cela una concezione distopica, non tanto del futuro, quanto dell’altro. Si tratta di un avvenire privo di alterità , costruito sulla negazione dell’altro. Questa utopia estetica si trasforma in una minaccia esistenziale, un’immaginazione selettiva che chiude le porte a nuove possibilità invece di aprirle. Edward Said avrebbe immediatamente riconosciuto questa visione: è il nucleo tragico di ciò che definiva “la tragedia dell’immaginazione”.
Per Said, il conflitto israelo-palestinese non si svolge esclusivamente nei territori occupati, tra bombardamenti e posti di blocco, ma si consuma prima di tutto nell’incapacità di concepire l’altro nella sua interezza umana. “Non si tratta di due narrazioni in conflitto”, scriveva in “The Question of Palestine”, “ma di due visioni che si escludono a vicenda, poiché ciascuna rifiuta di riconoscere l’altro come legittimo.” La vera radice della violenza, sosteneva, risiede nell’impoverimento dell’immaginazione morale. Quando l’altro diventa invisibile, ogni crimine può trovare giustificazione.
Un messaggio ideologico
Il video della ministra Gamliel non rappresenta un piano urbanistico, bensì una dichiarazione ideologica. Una Gaza priva di palestinesi è frutto di una visione di chi non considera il futuro come uno spazio condiviso. Si tratta della proiezione di un desiderio coloniale mascherato da tecnologia, un rebranding digitale dell’annientamento politico.
Non esiste progresso senza giustizia, né futuro senza riconoscimento reciproco. Non si può discutere di pace se uno dei due popoli è concepito solo come assente. La sicurezza di Israele non può fondarsi sull’eliminazione simbolica o reale dei palestinesi. Analogamente, i diritti dei palestinesi non costituiscono un ostacolo alla pace, ma la sua premessa fondamentale.
La narrazione opposta e la ricerca di una soluzione
Parallelamente, non si può accettare la narrazione opposta, quella sostenuta da Hamas, secondo la quale la pace sarebbe raggiungibile solo tramite la distruzione di Israele. Anche questa prospettiva è priva di umanità , fondata sull’odio e sull’annientamento dell’altro. Non rappresenta una soluzione, ma una capitolazione alla violenza.
Esiste una vera alternativa, già presente nelle vite quotidiane di coloro che, da entrambe le parti, resistono alla disumanizzazione. Come ricordava Said, la vera sfida è innanzitutto di natura morale: “Riconoscere che c’è spazio sufficiente per due verità .” I due popoli devono imparare a vedersi, a riconoscersi e a convivere. Non si tratta di utopia, ma dell’unica via realistica.
Nel 2025, è una sconfitta per l’umanità dover ancora scegliere tra “noi o loro”. I fuochi d’artificio che chiudono il video della ministra, così scintillanti e fuori luogo, non celebrano la pace, ma la cancellazione di una delle parti. Finché l’immaginazione continuerà a escludere l’altro, anche quei giochi pirotecnici rimarranno una tragica farsa, esplosi sopra le macerie dell’umanità .