In Arkansas i tatuaggi diventano tassati con un’imposta del 6%. La notizia solleva dubbi anche in Italia: ecco cosa prevede la legge americana e perché se ne parla anche da noi.
Negli Stati Uniti, e in particolare nello stato dell’Arkansas, i tatuaggi entrano ufficialmente nel radar del fisco. Da oggi, chi sceglie di imprimere sulla propria pelle un disegno, un nome o un simbolo pagherà una tassa aggiuntiva del 6%, applicata anche ai piercing e ai servizi annessi. Una decisione che ha generato forti reazioni, dividendo l’opinione pubblica tra chi accusa il governo di voler monetizzare su una scelta personale e chi ritiene legittimo l’allargamento della base imponibile.
Cos’è e come funziona la tassa sui tatuaggi in Arkansas
La misura fiscale voluta dal legislatore dell’Arkansas è già entrata in vigore e si inserisce in un piano di aumento delle entrate statali. Non solo tatuaggi: la nuova imposta riguarda anche piercing, trattamenti di rimozione laser, vendita di creme post-tatuaggio e altri servizi estetici connessi.
Il meccanismo è semplice: al momento del pagamento, viene applicato un 6% di sovrattassa. Un tatuaggio da 100 dollari, ad esempio, ne costerà 106. Una somma apparentemente modesta, ma simbolicamente forte, perché riconosce il tatuaggio come un servizio tassabile, non più solo una libera forma di espressione individuale. Per alcuni funzionari, questa politica avrebbe anche un valore disincentivante, soprattutto tra i giovani: un’idea che ha scatenato l’opposizione degli artisti del tatuaggio e di molte associazioni di categoria.

Una delle questioni più discusse è stata l’eventuale retroattività della misura: inizialmente si è diffusa la voce – poi smentita – che anche chi aveva già tatuaggi avrebbe dovuto versare la tassa. Al momento, la normativa non è retroattiva e si applica esclusivamente ai nuovi trattamenti effettuati dal giorno dell’entrata in vigore.
Chi critica il provvedimento parla di stigmatizzazione, affermando che “la pelle non può diventare una base fiscale”. Altri lo leggono come un segnale pericoloso: dove si metterà il limite, se anche le scelte estetiche iniziano a diventare oggetto di tassazione?
E in Italia? Cosa potrebbe succedere se arrivasse una tassa simile
Nel nostro Paese, non esiste al momento alcuna tassa specifica sui tatuaggi. Le attività artigianali legate al body art sono già soggette a IVA, imposte sul reddito, e in alcuni casi anche a obblighi igienico-sanitari regionali. Tuttavia, la notizia proveniente dagli USA ha suscitato un acceso dibattito anche in Italia.
Secondo alcuni osservatori fiscali, una tassa simile non è affatto irrealistica. In un momento storico in cui si ragiona su nuove entrate tributarie, e dove l’evasione in settori pagati spesso in contanti è ancora alta, il mondo dei tatuaggi potrebbe finire nel mirino del legislatore. Non sarebbe la prima volta: in passato, sono state introdotte tasse su plastica, bevande zuccherate, giocattoli, sigarette elettroniche. Una piccola aliquota extra potrebbe essere giustificata, almeno formalmente, come strumento di tracciabilità o di sicurezza sanitaria.
Il problema, secondo gli analisti del settore, è che una misura simile favorirebbe il mercato sommerso, penalizzando gli studi in regola e spingendo i clienti verso realtà abusive o non certificate, con conseguenze anche igienico-sanitarie.
Inoltre, oggi il tatuaggio non è più considerato un lusso o un atto di ribellione giovanile. Secondo le ultime ricerche, oltre 7 milioni di italiani hanno almeno un tatuaggio. L’età media è in crescita, e tra i tatuati troviamo donne, professionisti, pensionati, impiegati, artisti e imprenditori. Una tassa rischierebbe di colpire trasversalmente la popolazione, senza una motivazione sanitaria o ambientale che possa giustificarne la necessità.
Al momento, nessuna proposta ufficiale è stata presentata in Italia, ma se il tema dovesse essere portato all’attenzione politica, è probabile che si aprirebbe uno scontro acceso tra categoria e istituzioni, con ripercussioni anche a livello mediatico.