Pensione anticipata o più alta per chi ha iniziato a lavorare da minorenne: cosa prevede la normativa e chi può beneficiarne secondo le regole vigenti.
Chi ha cominciato a lavorare prima della maggiore età può accedere a misure previdenziali più vantaggiose, sia sul fronte dell’età pensionabile che dell’importo dell’assegno mensile. La normativa italiana riconosce il valore delle carriere iniziate in giovane età e prevede due strade principali per questi lavoratori: Quota 41, che consente di uscire prima dal mondo del lavoro, e la maggiorazione contributiva, che consente di ottenere un assegno più alto. La possibilità di accedere a uno o all’altro beneficio dipende da diversi fattori, tra cui l’anno di inizio dell’attività lavorativa e il sistema contributivo in cui si è inseriti.
Chi ha versato almeno un contributo settimanale prima del 1° gennaio 1996, ad esempio, ricade nel sistema misto e può ambire a Quota 41 se rientra in determinate categorie. Chi invece ha iniziato a lavorare dopo quella data si trova nel sistema contributivo puro e, pur non potendo anticipare l’uscita, ha comunque diritto a una valorizzazione dei contributi versati prima dei 18 anni, che verranno maggiorati del 50% al momento del calcolo dell’assegno pensionistico.
Quota 41: pensione anticipata per chi ha lavorato da minorenne
La misura nota come Quota 41 è destinata ai cosiddetti lavoratori precoci, ovvero coloro che hanno accumulato almeno 12 mesi di contributi effettivi prima di aver compiuto 19 anni. Per chi rientra in questa categoria, è possibile andare in pensione con 41 anni di contributi, anticipando di quasi due anni rispetto alla normale pensione anticipata (42 anni e 10 mesi per gli uomini, 41 e 10 mesi per le donne).
Tuttavia, non basta aver lavorato da giovani per accedere a questa possibilità. La normativa prevede che, oltre alla precocità contributiva, si rientri in una categoria meritevole di tutela. Tra queste ci sono:
chi è disoccupato da almeno tre mesi dopo la fine della Naspi;
chi ha un grado di invalidità pari o superiore al 74%;
chi assiste da almeno sei mesi un familiare disabile grave, come previsto dalla legge 104;
chi ha svolto mansioni gravose o usuranti, secondo quanto stabilito dal decreto legislativo n. 67/2011.
Un altro elemento essenziale è il periodo di inizio dell’attività lavorativa: almeno un contributo deve essere stato versato prima del 1996, pena l’esclusione da Quota 41. Questa data rappresenta lo spartiacque tra il sistema retributivo e quello contributivo, ed è fondamentale per determinare i diritti pensionistici.
Contributi maggiorati per i giovani lavoratori nel sistema contributivo puro
Chi invece non può accedere a Quota 41 perché rientra nel sistema contributivo puro, può comunque beneficiare di un incremento dell’importo della pensione. Questo è reso possibile da una regola introdotta con la riforma Dini del 1995, che stabilisce che i contributi versati prima dei 18 anni vengano maggiorati del 50% nel calcolo del montante pensionistico.
In termini pratici, se un lavoratore ha versato 10.000 euro di contributi prima dei 18 anni, ai fini del calcolo della pensione ne verranno considerati 15.000. Questo meccanismo non accelera l’uscita dal lavoro, ma garantisce un assegno più alto nel momento in cui si va in pensione.

È un riconoscimento importante, soprattutto per chi ha iniziato a lavorare in settori faticosi o poco retribuiti già in giovane età. La legge cerca così di compensare, almeno in parte, l’impegno precoce con un trattamento economico più equo. Non si tratta solo di una questione numerica: la valorizzazione dei contributi giovanili rappresenta anche un segnale di rispetto per le storie lavorative complesse e per chi ha affrontato il mondo del lavoro da adolescente.