Italia sempre più senza culle: i nuovi dati sulle nascite preoccupano gli esperti

Il numero di nascite continua a calare

Nascite a picco - www.rcovid19.it

Luca Antonelli

Agosto 6, 2025

Il numero di bambini continua a calare: cosa rivelano gli ultimi dati Istat su natalità e futuro demografico.

Nel 2024 l’Italia ha registrato un nuovo minimo storico per quanto riguarda le nascite. I dati pubblicati dall’Istat raccontano un trend che si ripete da oltre un decennio: culle sempre più vuote, meno figli per famiglia e un’età media delle madri che continua a salire. Con 379.000 bambini nati nell’ultimo anno, il nostro Paese si allontana sempre più dal tasso di ricambio generazionale. Una cifra che, solo vent’anni fa, superava tranquillamente le 500.000 unità. Il calo riguarda tutte le regioni, senza eccezioni, ma si accentua in modo particolare al Sud, dove il divario tra nascite e morti è diventato drammatico.

I numeri parlano chiaro, ma dietro questi dati si nasconde un cambiamento culturale, economico e sociale profondo. Le donne diventano madri sempre più tardi, spesso oltre i 35 anni. La precarietà del lavoro, la difficoltà ad accedere alla casa, l’incertezza sul futuro spingono molte coppie a rinviare o a rinunciare alla genitorialità. E anche laddove ci sarebbe il desiderio, mancano spesso gli strumenti concreti per realizzarlo. Lo Stato, da parte sua, ha introdotto misure come l’assegno unico universale, ma l’impatto su larga scala è ancora debole.

Culle vuote e società che invecchia: l’allarme demografico si fa concreto

Il calo delle nascite non è solo un dato statistico: è una questione che riguarda da vicino il futuro della società italiana. Una popolazione sempre più anziana comporta squilibri evidenti sul piano economico, sanitario e previdenziale. Si riduce la forza lavoro, aumentano le spese per le pensioni, diminuiscono i contribuenti attivi. Già oggi, secondo le proiezioni, nel 2050 il rapporto tra persone in età lavorativa e over 65 sarà sbilanciato come mai prima.

Il numero di nascite continua a calare
I dati Istat mettono in allarme anche il governo – www.rcovid19.it

La carenza di nuove generazioni mette in discussione anche la tenuta delle scuole, la sostenibilità dei piccoli comuni e la vitalità dei territori rurali. Molti asili chiudono per mancanza di iscritti, mentre interi paesi vedono scomparire progressivamente la popolazione giovanile. Il problema non riguarda solo il Mezzogiorno: anche regioni tradizionalmente più dinamiche come Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia cominciano a mostrare segni evidenti di contrazione.

Le soluzioni tardano ad arrivare: servono politiche strutturali, non bonus temporanei

Gli interventi una tantum, come incentivi per la natalità o detrazioni fiscali per i figli, non bastano. I dati mostrano che nei Paesi europei dove la natalità è più alta – come Francia o Svezia – esistono politiche familiari stabili, strutturate e radicate nel tempo. Servizi per l’infanzia capillari, congedi parentali realmente accessibili anche per i padri, agevolazioni sull’affitto e sul mutuo, orari di lavoro flessibili: sono queste le misure che fanno la differenza.

In Italia manca una visione a lungo termine. L’approccio resta frammentato, spesso legato a scadenze politiche o alla disponibilità dei fondi. Le famiglie chiedono certezze, non bonus da 80 euro. Un piano serio di rilancio demografico non può prescindere dal miglioramento delle condizioni lavorative, dalla parità di genere reale e da un sistema scolastico che accompagni le famiglie e non le ostacoli.

Il rischio, altrimenti, è che il dibattito resti fermo ai numeri e non si trasformi mai in azione concreta. E mentre si discute, un’intera generazione continua a mancare all’appello.

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