Pancreatite trattata con cannabinoidi: a Bari il primo caso studio

Veronica Robinson

Agosto 13, 2025

Una donna di 54 anni affetta da pancreatite cronica ha finalmente trovato sollievo dai dolori lancinanti che l’avevano accompagnata per 24 anni, grazie all’uso di preparati a base di cannabis. Questo risultato è stato documentato in un innovativo studio condotto dal dottor Felice Spaccavento, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Cure Palliative della ASL di Bari, in collaborazione con il professor Silvio Tafuri dell’Università di Bari. La ricerca rappresenta il primo caso clinico in Italia che esplora l’efficacia della cannabis nel trattamento del dolore severo e refrattario associato alla pancreatite.

Un approccio terapeutico innovativo

Pubblicato nella rivista Journal of Cannabis Research, lo studio evidenzia come i principi attivi della cannabis, in particolare il tetraidrocannabinolo (THC) e il cannabidiolo (CBD), interagiscano con il sistema endocannabinoide del corpo umano. Questi composti agiscono principalmente attraverso i recettori CB1 e CB2, che si trovano in diverse parti dell’organismo, incluso il tessuto pancreatico. La loro attivazione ha un impatto significativo sulla percezione del dolore e sulle risposte infiammatorie.

Il THC, noto per le sue proprietà psicoattive, è stato associato alla modulazione del dolore e alla promozione della fibrosi pancreatica. In contrasto, il CBD, che non provoca effetti psicoattivi, ha dimostrato di possedere importanti proprietà antinfiammatorie, contribuendo a ridurre l’infiammazione e a regolare le risposte immunitarie in situazioni croniche. Secondo quanto riportato nello studio, il CBD svolge un ruolo cruciale nel modulare lo stress ossidativo, un fattore determinante nella patogenesi della pancreatite cronica, abbassando i livelli di marcatori ossidativi e incrementando l’espressione di fattori protettivi per le cellule.

Risultati significativi e follow-up

Per la paziente, il dottor Spaccavento ha prescritto un trattamento a base di olio di cannabis, contenente una concentrazione elevata di CBD (5%) e una bassa concentrazione di THC (inferiore allo 0,5%), somministrato in piccole dosi. “In pochi giorni – commenta Spaccavento, primo autore dello studio – il dolore è scomparso completamente. La valutazione di follow-up, effettuata per 16 mesi, da febbraio 2024 a giugno 2025, ha mostrato che non ci sono stati episodi acuti. La paziente ha recuperato peso, appetito, sonno regolare e un ciclo mestruale normale, riuscendo anche a interrompere l’assunzione di altri farmaci“.

La donna, colpita da una forma grave di pancreatite cronica recidivante, ha vissuto un’esperienza di vita segnata da intensi dolori addominali e da una qualità della vita compromessa, con una perdita di peso che l’ha portata a scendere a 36 chili. I trattamenti tradizionali, compreso l’impianto di una endoprotesi in una struttura ospedaliera del nord, non hanno mai fornito un beneficio duraturo, e l’endoprotesi è stata rimossa a causa di un’infezione.

Prospettive future e necessità di ulteriori studi

Il dottor Spaccavento sottolinea che, sebbene la cannabis medica non rappresenti una soluzione universale, in casi selezionati può apportare miglioramenti significativi nella vita dei pazienti. La risposta positiva della paziente al trattamento suggerisce che la cannabis potrebbe contribuire a diminuire la frequenza e la gravità degli episodi di pancreatite. Tuttavia, è necessario condurre studi clinici più ampi per confermare questi risultati e valutare l’efficacia della cannabis in un contesto più ampio.

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