Quando Roma fece scomparire un lago: la colossale impresa dell’imperatore Claudio

Piana Fucino.

Ricostruzione fotografica del lago. - www.rcovid19.it

Luca Antonelli

Agosto 13, 2025

 Dal grande bacino senza sbocco al cuore agricolo dell’Abruzzo: una storia di ingegneria, potere e trasformazione del paesaggio.

Un tempo il lago Fucino occupava una vasta conca chiusa dell’Abruzzo interno, adagiata a circa 660 metri di altitudine, priva di qualsiasi emissario naturale. Con una superficie variabile fino a 140 chilometri quadrati, era il terzo lago d’Italia per estensione, ma anche uno dei più instabili: le oscillazioni del livello dell’acqua causavano inondazioni improvvise nei villaggi circostanti, mentre nelle stagioni calde le zone paludose favorivano la diffusione della malaria.
Già in epoca repubblicana si era discusso di un possibile prosciugamento, ma solo l’imperatore Claudio, nel 41 d.C., decise di affrontare il problema in modo radicale. Il progetto prevedeva la costruzione di un tunnel sotterraneo per collegare il lago al fiume Liri, permettendo il deflusso controllato delle acque. I lavori iniziarono subito e coinvolsero più di 30.000 uomini, per lo più schiavi e prigionieri di guerra, affiancati da tecnici e ingegneri dell’epoca.

Un’opera senza precedenti nella storia romana

Il tunnel del Fucino, scavato nel cuore del monte Salviano, si estendeva per quasi sei chilometri e presentava oltre 30 pozzi di aerazione e di accesso, realizzati per consentire il trasporto dei materiali e la ventilazione. Per l’epoca fu considerata un’impresa colossale: la galleria restò la più lunga mai realizzata al mondo fino alla fine dell’Ottocento.
La cerimonia di inaugurazione, nel 52 d.C., fu organizzata come un evento spettacolare. Claudio allestì sul lago una naumachia con gladiatori e navi da guerra, richiamando spettatori da tutta la regione. L’opera abbassò il livello del lago di diversi metri, restituendo vaste superfici coltivabili e migliorando la qualità della vita nelle città della Marsica, come Alba Fucens, Lucus Angitiae e Marruvium.

Piana Fucino.
Veduta della piana del Fucino. – www.rcovid19.it


Tuttavia, il sistema non riuscì a prosciugare completamente il bacino: nei secoli successivi, la mancanza di manutenzione portò al progressivo insabbiamento dell’emissario. Terremoti e frane bloccarono più tratti del tunnel, e l’acqua tornò lentamente a sommergere la pianura. Nel Medioevo il lago era di nuovo ai livelli originari, e le comunità locali si trovarono a convivere con gli stessi problemi di prima.

La rinascita ottocentesca e l’eredità attuale

Solo nel XIX secolo, con il progresso tecnologico e l’interesse di nuovi proprietari, il progetto venne ripreso. Il principe Alessandro Torlonia, banchiere e imprenditore romano, acquistò i terreni e commissionò un piano per prosciugare completamente il lago. L’ingegnere Jean François Mayor de Montricher guidò i lavori, che prevedevano la riapertura e l’ampliamento dell’antico emissario romano, la costruzione di un nuovo sistema di canali di irrigazione e drenaggio e la creazione di pozzi per il controllo idraulico.
Dal 1862 al 1878, operai provenienti da varie regioni italiane scavarono, murarono e rinforzarono le gallerie, completando la scomparsa definitiva del lago. Il nuovo paesaggio era una pianura fertile di 140 chilometri quadrati, destinata alla coltivazione di patate, carote e cereali.
L’opera venne celebrata con la costruzione dell’incile monumentale a Borgo Incile: un ponte in pietra a tre arcate con statue neoclassiche, ancora oggi visibile. Attualmente, la piana del Fucino è una delle aree agricole più produttive d’Italia e ospita anche strutture come il Centro Spaziale del Fucino, a dimostrazione di come una zona un tempo inospitale sia diventata un polo di innovazione e sviluppo.
La vicenda del lago Fucino resta un esempio unico di intervento umano sul paesaggio, dove l’ingegneria e la determinazione hanno cambiato per sempre l’aspetto e la funzione di un’intera regione.

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