Il sistema di suggerimenti di TikTok è tra i più avanzati al mondo e sembra conoscere i gusti degli utenti ancor prima che li esprimano: dietro c’è un lavoro certosino sui dati, spesso invisibile ma potente.
TikTok non indovina. Analizza. Con rapidità. Con precisione. E lo fa in modo così fluido da sembrare magia. Il fenomeno che ha conquistato milioni di utenti nel mondo è molto più di un social di video brevi: è una piattaforma costruita attorno a un algoritmo che impara da ogni microinterazione. È questo il motivo per cui, già dopo pochi minuti di utilizzo, l’app inizia a proporre contenuti che rispecchiano esattamente i gusti di chi guarda. La domanda è inevitabile: come fa TikTok a sapere cosa ci piace prima ancora che lo comunichiamo in modo esplicito?
Come funziona il feed personalizzato di TikTok
Il cuore di TikTok si chiama For You Page, o semplicemente “FYP”. È qui che ogni utente trascorre la maggior parte del tempo. Ma contrariamente a quanto accadeva sui social del passato, i contenuti visualizzati non arrivano da amici o profili seguiti, bensì da un sistema di raccomandazione predittiva che si basa esclusivamente su comportamenti osservabili.

Ogni tocco sullo schermo, ogni scroll, ogni secondo di permanenza su un video viene registrato. Non conta solo ciò che viene messo tra i preferiti o ciò che viene commentato: ciò che trattiene lo sguardo è più prezioso. Se un video viene guardato fino alla fine o, peggio ancora, riguardato due volte, TikTok registra quell’evento come segnale forte. È da qui che parte la personalizzazione.
La piattaforma tiene conto di parametri molto dettagliati: tempo di visione, ritmo del video, sonoro utilizzato, descrizione, hashtag, volto dei protagonisti, lingua parlata. Sì, anche questo. TikTok sa, ad esempio, che un utente può preferire voci più lente o accenti regionali. E lo stesso vale per le luci, i colori, perfino il tipo di movimento della fotocamera.
Tutto viene incrociato, suddiviso in insiemi e correlato con ciò che fanno milioni di altri utenti simili. Così, se un utente mostra di preferire contenuti malinconici al tramonto con musica acustica in sottofondo, nel giro di poco riceverà una sequenza infinita di video con caratteristiche analoghe.
Non è magia. È un’intelligenza artificiale addestrata a modellare gusti e desideri, spesso prima che siano pienamente consapevoli.
L’illusione della libertà di scelta
Quello che sorprende, in effetti, è la rapidità con cui TikTok riesce ad adattarsi. Per molti, l’esperienza somiglia quasi a una seduta di psicoterapia. Video “giusti”, al momento “giusto”. Clip che evocano emozioni che sembrano personali. La sensazione di essere compresi.
Eppure c’è una dinamica sottostante che merita attenzione. La personalizzazione estrema può diventare un circuito chiuso. Quando un utente inizia a ricevere sempre più contenuti affini, entra in una sorta di bolla emotiva e cognitiva, nella quale tutto ciò che appare sembra coerente con la propria visione del mondo. Questo fenomeno non è nuovo — già noto su Facebook e YouTube — ma TikTok lo porta a un livello radicale, proprio per la struttura verticale e pervasiva del feed.
L’utente non sceglie. Scorre. E lo fa in modo istintivo, quasi automatico. Ogni gesto retroalimenta il sistema. Ogni pausa o fastidio registrato modifica il prossimo contenuto mostrato. Non c’è un vero controllo, solo un’illusione di libertà. È il sistema a guidare la scoperta.
TikTok non solo anticipa i desideri, ma contribuisce anche a crearli. Un video che mostra un nuovo hobby, una moda o un punto di vista inconsueto può essere mostrato a un utente potenzialmente “compatibile” anche se ancora ignaro di quel mondo. Se l’interesse si attiva, l’algoritmo se ne accorge e lo rinforza. Inizia così un nuovo percorso.
C’è poi un altro aspetto spesso ignorato: i dati biometrici indiretti. TikTok non ha bisogno di usare tecnologie invasive per sapere come stai. Basta osservare cosa ti attrae in un certo momento della giornata. Video calmi di notte, contenuti più energici al mattino? L’app prende nota.
L’impressione di essere letti nella mente nasce proprio da qui. Da una macchina che non interpreta le parole, ma i gesti. Che non legge l’anima, ma la ripetizione.