Le testimonianze emerse oggi dal Corriere della Sera rivelano una realtà inquietante: molte donne hanno scoperto che i propri mariti postavano in segreto le loro foto intime all’interno di un gruppo Facebook intitolato “Mia moglie”. La storia di una delle vittime, che ha voluto rimanere anonima, è particolarmente toccante. La donna racconta di aver riconosciuto la propria camera da letto e i propri effetti personali in alcune delle immagini condivise. “È stato come se tutto attorno a me cascasse giù. ‘Partecipante anonimo 127’, cioè mio marito, mi aveva esposta sulla piazza del Web in quel gruppo di guardoni, dove venivano fatti commenti disgustosi. E lui rispondeva anche! Non riuscivo a credere ai miei occhi”, ha dichiarato. Per proteggere i figli adolescenti, ha detto loro che il padre era partito per motivi di lavoro, ma ha trovato il coraggio di cacciarlo di casa. La sua decisione di denunciare anziché nascondersi nella vergogna rappresenta un gesto di grande forza in una vicenda che ha coinvolto migliaia di persone: oltre 30.000 iscritti a quel gruppo, tra cui professionisti insospettabili come avvocati, membri delle forze dell’ordine e giornalisti.
La testimonianza di una vittima
La donna, che ha subito abusi in gioventù, ha espresso il suo profondo dolore: “Mi sono sentita tradita due volte”, ha affermato. “Questa cosa ha un nome, si chiama violenza”. La sua testimonianza riporta alla mente il caso di Gisèle Pelicot, una donna che ha affrontato un’esperienza traumatica simile, diventando un simbolo di coraggio dopo aver denunciato gli abusi subiti dal marito.
Meta interviene: rimosso il gruppo per sfruttamento sessuale
Un portavoce di Meta ha confermato la rimozione del gruppo Facebook “Mia moglie”, dichiarando: “Abbiamo rimosso il Gruppo Facebook per violazione delle nostre policy contro lo sfruttamento sessuale di adulti”. Il rappresentante ha aggiunto che la piattaforma non tollera contenuti che promuovono violenza sessuale e che, se vengono a conoscenza di contenuti che incitano allo stupro, possono disabilitare i gruppi e gli account coinvolti, comunicando tali informazioni alle forze dell’ordine. Tuttavia, la vittima intervistata dal Corriere della Sera ha posto un interrogativo cruciale: come è possibile che quel gruppo fosse attivo da sei anni senza che nessuno se ne accorgesse? La mancanza di segnalazioni e di interventi da parte di Meta solleva interrogativi sulla vigilanza della piattaforma.
Una denuncia che ha fatto emergere il problema
La questione è stata portata all’attenzione della polizia postale grazie a una denuncia, che ha anche ricevuto supporto da vari esponenti politici e della società civile. “Basta tolleranza del sessismo e della violenza contro le donne sui social, altrimenti è complicità”, ha dichiarato il gruppo del Partito Democratico nella Commissione Femminicidio e violenza del Parlamento, associandosi così alla denuncia riguardante il gruppo Facebook “Mia moglie”. Questo gruppo, con i suoi 32.000 iscritti, pubblicava foto di donne senza il loro consenso, accompagnate da commenti violenti e sessisti.
Le parlamentari Sara Ferrari, Antonella Forattini, Valentina Ghio, insieme alle senatrici Cecilia D’Elia e Valeria Valente e al senatore Filippo Sensi, hanno commentato: “Troviamo sconcertante e inaccettabile l’esistenza di queste chat misogine, che riflettono una cultura di possesso e sopraffazione che ignora il consenso delle donne. Chiediamo a Meta di chiudere immediatamente il gruppo e di vigilare sulla possibilità di una sua riapertura sotto un altro nome”. Hanno aggiunto che è fondamentale monitorare ogni forma di maschilismo tossico sui social.
La gravità della situazione è stata ulteriormente sottolineata con la domanda retorica: “Il caso Pelicot non è bastato?” I gruppi social che perpetuano e normalizzano la violenza di genere richiedono un intervento deciso e tempestivo.