Il gruppo Facebook “Mia Moglie”, con più di 30mila membri, chiuso dopo le denunce alla polizia

Veronica Robinson

Agosto 23, 2025

Oltre tremila segnalazioni sono state presentate alla Polizia Postale in soli due giorni a seguito della scoperta del gruppo Facebook “Mia Moglie”, dove più di trentamila uomini condividevano foto intime delle loro compagne. Questo gruppo, che ha attirato l’attenzione per la sua natura inquietante, ha visto la partecipazione di trentaduemila iscritti, i quali scambiavano immagini private di fidanzate, wife, figlie e suocere. Tali foto, spesso scattate di nascosto o condivise in un contesto di intimità, non erano destinate a diventare di dominio pubblico.

Chiusura del gruppo e fenomeno più ampio

Il gruppo Facebook “Mia Moglie” è stato chiuso mercoledì 2 gennaio 2025 da Meta, dopo che la Polizia Postale ha ricevuto un numero elevato di segnalazioni. Tuttavia, questa situazione rappresenta solo una parte di un fenomeno ben più ampio che si sta diffondendo in rete. Un canale di riferimento per tali attività è Telegram, dove la condivisione di contenuti intimi diventa ancora più difficile da monitorare e gestire.

Reazioni e impatto sui social

La notizia ha rapidamente fatto il giro del mondo, attirando l’attenzione dei media internazionali, tra cui BBC e Financial Times. La gravità della situazione ha suscitato reazioni anche sui social, come dimostra il commento di un’utente della community Alpha Mom, che ha dichiarato di sentirsi “spezzata in due” per quanto accaduto. Un’altra donna ha risposto, affermando di aver trovato coraggio nel sapere di non essere sola di fronte a questa problematica.

Come agire in caso di violazione della privacy

Per chi si trovasse nella sfortunata situazione di vedere una propria foto pubblicata online senza consenso, è fondamentale agire rapidamente. Il primo passo consiste nel denunciare sia l’autore della foto sia chi la condivide, contattando la Polizia Postale e il Garante della privacy. Le violazioni di questo tipo possono portare a reati che vanno dalla diffamazione al revenge porn, con pene che possono arrivare fino a sei anni di carcere nel caso di contenuti sessualmente espliciti, come stabilito dal Codice Rosso.

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