Un nuovo studio mette in discussione i benefici dell’attività endurance, svelando un legame critico con la fibrillazione atriale.
Nel luglio 2025, la rivista scientifica Exploration of Cardiology ha pubblicato un approfondimento destinato a far discutere il mondo della medicina sportiva. Lo studio, dal titolo Endurance sport and atrial fibrillation: a mini-review of a complex relationship, affronta un nodo clinico tutt’altro che risolto: il paradosso tra l’attività fisica regolare e il rischio di sviluppare aritmie cardiache nei praticanti di sport di resistenza.
Se da una parte l’esercizio fisico è noto per ridurre la mortalità e proteggere da eventi cardiovascolari, dall’altra allenamenti troppo intensi e protratti nel tempo potrebbero esporre alcuni atleti, in particolare uomini di mezza età, a un rischio più alto di fibrillazione atriale. Un’evidenza che ribalta l’idea comune secondo cui “muoversi fa sempre bene”, perché come dimostrano i dati raccolti, non tutti i tipi di sforzo portano con sé gli stessi effetti sul cuore.
Come lo sport di resistenza influenza il cuore
La fibrillazione atriale è una condizione caratterizzata da impulsi elettrici disordinati all’interno degli atri cardiaci. Ne risulta un ritmo irregolare, spesso accelerato, che può anche essere asintomatico ma non per questo meno pericoloso. I meccanismi che scatenano questo squilibrio sono complessi e coinvolgono tre elementi principali: la struttura del cuore, la risposta del sistema nervoso e la presenza di fattori scatenanti.

Secondo il nuovo studio, gli allenamenti endurance possono alterare tutti e tre questi fattori. Le cavità atriali tendono a dilatarsi con il tempo, le cellule subiscono cambiamenti, aumentano le infiammazioni e compare una maggiore attività vagale. In pratica, il cuore si adatta a resistere allo sforzo, ma queste modifiche anatomiche e funzionali possono rendere più probabile l’insorgere di aritmie.
Negli uomini questo effetto appare più marcato: si osservano segni di rimodellamento cronico, ispessimento del ventricolo sinistro e disturbi nella fase di riempimento del cuore. Al contrario, nelle donne queste trasformazioni sono meno frequenti e meno pronunciate. Il perché di questa differenza di genere non è ancora del tutto chiaro, ma la letteratura scientifica sta cominciando a fornire spiegazioni sempre più convincenti.
Trattamenti, strategie e rischi da valutare caso per caso
Affrontare la fibrillazione atriale in chi pratica sport non è semplice. Prima di tutto è fondamentale escludere patologie sottostanti, squilibri ormonali o l’uso di sostanze che possono interferire con l’attività elettrica cardiaca. In mancanza di indicazioni specifiche, i cardiologi seguono le linee guida della Società Europea di Cardiologia. Il modello proposto si chiama C.A.R.E. e include il trattamento dei fattori di rischio, la prevenzione dell’ictus, la riduzione dei sintomi e una continua rivalutazione clinica.
Ma gli autori dello studio suggeriscono di affiancare a questo schema anche un’altra lettera: la “D” di “detraining”, cioè la sospensione temporanea dell’attività sportiva. Una misura che spesso gli atleti non vogliono adottare, ma che in alcuni casi potrebbe ridurre le recidive aritmiche. Il problema, però, non finisce qui. Anche le terapie farmacologiche presentano limiti: beta-bloccanti, calcio-antagonisti o digitale non sempre funzionano e possono interferire con la performance o avere effetti collaterali.
L’alternativa più risolutiva sembra essere l’ablazione transcatetere, una procedura che agisce direttamente sulle aree del cuore responsabili dell’aritmia. Anche in questo caso, però, rimane da valutare il rischio di tromboembolia. L’ictus, ad esempio, può verificarsi anche in soggetti giovani e allenati se presente fibrillazione atriale. Il punteggio CHA₂DS₂-VA serve proprio a calcolare questo rischio, e anche se spesso è basso negli sportivi, non può essere ignorato.
Per proteggere i pazienti più a rischio, si sta valutando l’uso di nuovi anticoagulanti orali a rapido assorbimento, i DOAC, che offrono maggiore flessibilità rispetto ai farmaci tradizionali. Il loro effetto può essere gestito in modo da ridurre al minimo l’impatto durante l’allenamento o le gare, ma servono protocolli precisi e nuovi studi per garantire la sicurezza.
Chi pratica sport intensamente dovrebbe quindi prestare attenzione ai segnali del proprio corpo e sottoporsi a controlli cardiologici periodici. Il cuore degli atleti ha delle peculiarità che vanno comprese e seguite con cura. Perché allenarsi fa bene, ma il troppo può diventare un rischio se non gestito con consapevolezza.