Non ci sono elementi che possano confermare la premeditazione da parte di Alessandro Impagnatiello riguardo l’omicidio di Giulia Tramontano. Secondo la Corte d’Assise d’Appello, l’assunzione di topicidi nei mesi precedenti sarebbe stata finalizzata a indurre un aborto spontaneo, considerato da Impagnatiello come una “drastica soluzione” al problema che il nascituro rappresentava per la sua vita e carriera. Pertanto, il tribunale ha confermato la condanna all’ergastolo per l’imputato, escludendo la premeditazione in quanto l’obiettivo principale dell’avvelenamento era l’interruzione della gravidanza e non l’omicidio della madre.
La volontà di uccidere
I giudici popolari, presieduti da Ivana Caputo e con la partecipazione della giudice a latere Franca Anelli, hanno stabilito che la decisione di assassinare la compagna, incinta di sette mesi, si sarebbe concretizzata “non prima” delle 17:00 di quel sabato, due anni fa. In quel momento, Impagnatiello abbandonò il suo posto di lavoro nel centro di Milano per evitare un incontro con la fidanzata e l’amante, sua collega. Questo gesto ha segnato un punto di svolta cruciale nel suo stato d’animo, portandolo a riflettere su azioni estreme.
La scena del crimine
L’idea di uccidere è emersa in modo inarrestabile quando Impagnatiello ha compreso di non essere riuscito a dissuadere Giulia dall’incontrarsi al bar, un luogo che lui considerava fondamentale per la sua vita professionale. Il messaggio inviato da Giulia, “io sono davanti al tuo lavoro che credo che da oggi non lo sarà mai più”, ha suscitato in lui una reazione violenta e incontrollata, come evidenziato nelle motivazioni della sentenza.
Analisi della premeditazione
La Corte d’Assise d’Appello ha ritenuto irrilevante conoscere le azioni compiute da Impagnatiello nelle due ore di attesa prima dell’omicidio. Che si trattasse di rimuovere un tappeto o di coprire il divano con un telo impermeabile, questi dettagli non influenzavano la questione della premeditazione. La Corte ha sottolineato che ciò che contava era l’intento presente nel suo cuore durante quel periodo. Giulia Tramontano non avrebbe potuto prevedere il pericolo che la minacciava, e perciò, nel momento fatale, la sua condanna a morte era già stata segnata.
La violenza di Impagnatiello
Alessandro Impagnatiello non si è limitato a togliere la vita a Giulia Tramontano usando il metodo che considerava più diretto ed efficace. Ha agito spinto da una “furia rabbiosa” che necessitava di sfogo, desiderando infliggere una punizione e canalizzare una frustrazione in energia violenta e omicida. Questi aspetti hanno portato la Corte d’Assise d’Appello di Milano a riconoscere, anche in secondo grado, l’aggravante della crudeltà .
Il numero delle coltellate e la crudeltÃ
I giudici hanno esaminato il numero di coltellate inflitte, ben 37, di cui 11 mentre Giulia era ancora in vita e 24 concentrate su lesioni cervicali. La sentenza sottolinea che il numero e la reiterazione dei colpi non rappresentano una mera enumerazione macabra, ma evidenziano un “dolo di proposito”. Impagnatiello ha avuto il tempo di selezionare l’arma da utilizzare tra gli oggetti reperibili in un ambiente domestico, decidendo come e dove colpire la vittima, colta di sorpresa e senza possibilità di difesa.