Una giornalista de “La Stampa”, Francesca Del Vecchio, ha recentemente condiviso la sua esperienza di espulsione dalla missione Global Sumud Flotilla, diretta verso Gaza. In un articolo pubblicato sul suo quotidiano, Del Vecchio ha descritto come sia stata etichettata come una “giornalista pericolosa”, un appellativo inaspettato per chi si era proposta di documentare l’iniziativa umanitaria. La giornalista ha espresso il suo rammarico per non aver potuto esercitare liberamente il suo lavoro, che consiste nel “osservare e riferire”, senza compromessi. Nonostante l’accaduto, ha sottolineato che la missione mantiene la sua validità e il suo scopo umanitario.
Le fasi della missione
Del Vecchio ha tracciato un percorso dettagliato degli eventi che hanno portato alla sua espulsione. A partire dall’agosto 2025, quando un’attivista, conosciuta qualche mese prima, l’ha invitata a partecipare alla spedizione come giornalista. Durante una conversazione con la portavoce italiana, Maria Elena Delia, ha ricevuto un’accoglienza positiva, con l’intento di documentare sia gli aspetti positivi che le criticità della missione. La partenza è avvenuta da Catania, dove si è svolto anche il training per i partecipanti.
All’arrivo nel luogo del training, la giornalista ha dovuto consegnare il cellulare e, nei giorni successivi, ha subito perquisizioni. Il personale ha giustificato tali misure con motivi di sicurezza. Del Vecchio ha chiesto di poter scrivere all’esterno mentre attendeva l’inizio del corso, ma la richiesta è stata negata. Durante la sessione di formazione, ha notato la presenza di altri giornalisti, estranei alla missione, con attrezzature fotografiche. Al termine della sessione, ha chiesto se fosse possibile scrivere riguardo a quanto appreso, ricevendo una risposta positiva, a patto di non entrare nei dettagli.
Le difficoltà incontrate
Nei giorni successivi, Del Vecchio ha riscontrato difficoltà nel raccogliere informazioni. La mancanza di comunicazione e la sfiducia tra i partecipanti erano evidenti. Ha potuto riportare solo i requisiti per la convivenza a bordo. Con il rinvio della partenza, ha chiesto di assistere a un turno di sorveglianza notturna, promettendo di non scrivere nulla fino alla partenza. Tuttavia, dopo un iniziale consenso, le comunicazioni sono cessate e nessuno ha più risposto alle sue richieste.
In seguito, Del Vecchio è stata esclusa dalle chat di gruppo. Un membro del “Direttivo”, Simone, l’ha contattata per comunicarle che era stata espulsa per aver rivelato “informazioni sensibili”. La giornalista, incredula, ha cercato di discutere la questione con Maria Elena Delia, esprimendo le esigenze della sua professione e la necessità di un dialogo aperto. Sembrava che la situazione si fosse risolta, ma poco dopo è stata nuovamente affrontata da un attivista, Giuliano, insieme a Simone e un’altra rappresentante del Direttivo.
Il confronto finale
Durante questo incontro, Del Vecchio è stata accusata di essere “pericolosa” per aver rivelato dettagli sul luogo del corso di formazione, nonostante fosse noto a molti esterni all’organizzazione. Ha tentato di spiegare l’importanza del suo lavoro giornalistico, ma la decisione di espellerla era già stata presa. Le è stato restituito il passaporto, e le è stato comunicato che non avrebbe potuto tornare insieme agli altri partecipanti, venendo letteralmente cacciata dal porto.
Nel suo articolo, Del Vecchio ha riflettuto sulla serata trascorsa a rivedere i suoi scritti, arrivando alla conclusione che la sua attività era stata considerata “non allineata” rispetto alle aspettative del gruppo. La sua esperienza evidenzia le tensioni esistenti tra il giornalismo e le dinamiche interne di organizzazioni umanitarie, sottolineando l’importanza della libertà di stampa anche in contesti complessi come quello della missione verso Gaza.