“Quasi la totalità delle tasse versate dagli italiani si dirige verso le casse dello Stato centrale, mentre solo poco oltre la metà della spesa pubblica è gestita da questo ente. Ciò porta a una sperequazione tra la distribuzione delle entrate tributarie e della spesa pubblica molto preoccupante.” Questo è quanto emerso dallo studio condotto dall’Ufficio studi della CGIA, che ha esaminato le dinamiche del gettito tributario in Italia.
Il gettito tributario e la spesa pubblica nel 2023
Dall’analisi dei dati emerge che nel 2023 il gettito tributario complessivo ha raggiunto i 613,1 miliardi di euro. Di questa somma, 529,4 miliardi (pari all’86% del totale) sono stati incassati dallo Stato centrale, mentre i restanti 83,7 miliardi (14% del totale) sono stati destinati a Regioni e Enti locali. In contrasto, la spesa pubblica, escludendo le uscite previdenziali e gli interessi sul debito pubblico, ha superato i 644 miliardi. Di tale importo, 362 miliardi (56% del totale) sono stati spesi dallo Stato centrale, mentre 281 miliardi (44% del totale) sono stati utilizzati da Regioni e Enti locali.
Gli Enti pubblici locali, che si occupano di quasi la metà della spesa per i servizi ai cittadini, come sanità e trasporti pubblici, ricevono principalmente risorse dallo Stato centrale, con un contributo limitato dai contribuenti. Questo porta a una dipendenza finanziaria di Regioni e Comuni dai trasferimenti statali, spesso condizionati dall’andamento della spesa storica e dalla capacità delle amministrazioni locali di “negoziare” tali risorse con il governo centrale.
In aggiunta, la CGIA sottolinea che “negli ultimi trent’anni diverse funzioni e servizi pubblici sono stati trasferiti dal livello centrale a quello periferico, senza che vi fosse un corrispondente aumento dell’autonomia finanziaria degli enti locali.”
Entrate tributarie e oneri per i contribuenti
Analizzando le entrate tributarie attribuibili allo Stato e alle Amministrazioni centrali, emerge che l’Irpef rappresenta la voce più significativa, con un incasso di 208,4 miliardi. Segue l’Iva, che ha generato 140 miliardi, e l’Ires, con 49,7 miliardi. Per quanto riguarda le Regioni, le entrate più consistenti provengono dall’Irap, che ammonta a 28,9 miliardi, dall’addizionale regionale Irpef con 13,5 miliardi e dal bollo auto, che contribuisce con quasi 6,6 miliardi. Le Province, d’altra parte, beneficiano del gettito dell’imposta sulla Rc auto, pari a 2,1 miliardi, e del Pra, con 1,7 miliardi.
I Comuni, infine, possono contare su entrate dall’Imu, che ammontano a 18,6 miliardi, dall’addizionale comunale Irpef con 5,7 miliardi e dai contributi riscossi dalle concessioni edilizie, che raggiungono 1,7 miliardi.
Secondo l’Ufficio studi della CGIA, “lo squilibrio finanziario tra centro e periferia ha spinto almeno due Amministrazioni regionali italiane, particolarmente svantaggiate nel rapporto dare/avere con lo Stato, a richiedere maggiore autonomia. Stiamo facendo riferimento al Veneto e alla Lombardia, che nel 2017 hanno indetto un referendum consultivo su questa questione.”
Il residuo fiscale e le sue implicazioni
Il concetto di “residuo fiscale” è complesso da misurare, poiché non esiste un calcolo ufficiale e condiviso. La Banca d’Italia è l’unica istituzione in grado di determinare il residuo fiscale, una variabile cruciale per comprendere se i cittadini di una regione contribuiscono positivamente o negativamente al bilancio pubblico.
Gli ultimi dati disponibili risalgono al 2019 e mostrano che nel rapporto dare-avere tra lo Stato centrale e le regioni, tutte le aree del Nord, eccetto la Liguria e le Regioni a Statuto Speciale, presentano un valore negativo nelle tre ipotesi elaborate. Questo significa che devolvono agli altri territori e al bilancio pubblico più di quanto ricevono dallo Stato centrale.
Al contrario, le regioni del Mezzogiorno mostrano tutte un risultato positivo. Ciò implica che i flussi finanziari ricevuti dallo Stato centrale superano le risorse fiscali che versano. Ad esempio, la Campania ha registrato nel 2019 un “saldo” pro capite di +1.380 euro, la Puglia +2.440, la Sicilia +2.989 e la Calabria +3.085 euro.
Questa dinamica è considerata normale nel contesto del gettito tributario. “Da sempre registriamo forti trasferimenti dal Nord al Sud. Questo fenomeno – spiega la CGIA – non è causato da una spesa eccessiva nel Sud, ma dal fatto che i redditi nel Mezzogiorno sono più bassi, comportando quindi minori tasse e contributi versati dai residenti di questa area geografica.”