Tasse: gli italiani dedicano cinque mesi all’anno per coprire l’evasione fiscale

Veronica Robinson

Settembre 20, 2025

La pressione fiscale in Italia continua a rimanere elevata, con un peso significativo sulle spalle dei contribuenti onesti, costretti a coprire le mancanze di chi evade le tasse. Secondo un’analisi della Cgia di Mestre, nel 2025, quasi la metà dell’anno lavorativo sarà dedicata a compensare le perdite derivanti dall’evasione fiscale, un fenomeno che coinvolge almeno 2,5 milioni di italiani. Queste persone approfittano di servizi pubblici come la Sanità, l’istruzione e i trasporti senza contribuire adeguatamente al sistema.

Il periodo di lavoro effettivo per i cittadini italiani è stato calcolato dal 6 giugno al 31 dicembre 2025, un totale di 209 giorni in cui lavorano per il proprio sostentamento e quello delle loro famiglie. La previsione del Prodotto Interno Lordo (PIL) per quest’anno è di 2.256 miliardi di euro, suddivisi in un valore medio giornaliero di circa 6,2 miliardi. Dalla Cgia spiegano che, considerando le entrate tributarie e contributive, si stima che i contribuenti verseranno circa 962,2 miliardi di euro nel 2025. Questo porta a determinare il tax freedom day, che quest’anno è fissato al 6 giugno, segnando il punto in cui i cittadini iniziano a lavorare per sé stessi dopo aver coperto il carico fiscale.

Il fenomeno dell’evasione fiscale in Italia

La Cgia di Mestre sottolinea che la situazione fiscale in Italia è aggravata dalla presenza di un numero considerevole di contribuenti che non rispettano gli obblighi fiscali. Secondo le stime dell’Istat relative al 2022, circa 2,5 milioni di italiani lavorano in modo irregolare, senza contratti ufficiali. Questi lavoratori, sia dipendenti che autonomi, non contribuiscono al sistema fiscale, creando un onere maggiore per coloro che invece pagano le tasse.

L’analisi evidenzia che la Lombardia detiene il numero più alto di lavoratori irregolari, con 379.800 unità, seguita dal Lazio con 319.400 e dalla Campania con 270.200. Tuttavia, se si considera il tasso di irregolarità, la Calabria si distingue per il valore più alto, pari al 17,1%. A seguire, la Campania con il 14,2%, la Sicilia con il 13,6% e la Puglia con il 12,6%. La media nazionale si attesta al 9,7%, un dato che mette in luce l’ampiezza del fenomeno dell’evasione.

Andamento della pressione fiscale in Italia

Negli ultimi tre decenni, la pressione fiscale in Italia ha mostrato fluttuazioni significative. Il valore più basso è stato registrato nel 2005, quando si attestava al 38,9% del PIL. In quel periodo, erano necessari 142 giorni per liberarsi dal peso fiscale, un margine di 14 giorni rispetto a quanto previsto per il 2025. Al contrario, il picco massimo è stato raggiunto nel 2013, quando il carico fiscale ha toccato il 43,4% del PIL, un record negativo.

La Cgia avverte che non è corretto affermare che il peso del fisco sia aumentato negli ultimi anni. Le misure di decontribuzione introdotte nel 2024, insieme all’accorpamento di alcuni scaglioni di reddito Irpef, hanno influito sulla percezione del carico fiscale. Nel 2025, il governo ha previsto un incremento delle detrazioni Irpef e un bonus esente per i redditi da lavoro dipendente fino a 20.000 euro, cercando di ridurre il cuneo fiscale.

Confronto con la pressione fiscale in Europa

Nel 2024, la Danimarca ha registrato la pressione fiscale più alta dell’Unione Europea, pari al 45,4% del PIL, seguita da Francia (45,2%), Belgio (45,1%), Austria (44,8%) e Lussemburgo (43%). L’Italia si colloca al sesto posto, con un tasso del 42,6%, superiore di 1,8 punti rispetto alla Germania e di 5,4 punti rispetto alla Spagna. Solo la Francia ha una pressione fiscale più elevata, superando quella italiana di 2,6 punti. La media dell’Unione Europea, infine, è inferiore di 2,2 punti rispetto a quella italiana, evidenziando un contesto fiscale complesso e sfidante per i contribuenti italiani.

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