Condanna per il padre che umiliava la figlia di undici anni con insulti

Rosita Ponti

Settembre 25, 2025

Il caso di un padre che ha manifestato un forte disprezzo nei confronti della figlia undicenne, attraverso frasi denigratorie e comportamenti aggressivi, ha suscitato l’attenzione della Cassazione. La sentenza emessa il 15 settembre 2025 ha confermato la condanna già inflitta dalla Corte d’appello di Venezia, evidenziando una crescente consapevolezza riguardo alle violenze psicologiche e verbali che possono verificarsi all’interno delle mura domestiche.

Il body shaming come reato

La Corte ha stabilito che il body shaming all’interno del contesto familiare può configurarsi come un reato. Espressioni come “cicciona”, “brutto” o “secca” possono avere ripercussioni psicologiche significative, specialmente se pronunciate da un genitore nei confronti di un figlio in fase di sviluppo. La Suprema Corte ha sottolineato che “gli epiteti denigratori rivolti ai propri familiari in maniera ripetuta, anche se non si trasformano in insulti diretti, possono costituire reato di maltrattamenti“. Nel caso specifico, l’imputato ha perpetuato per sette mesi, da gennaio a luglio 2020, un comportamento denigratorio nei confronti della figlia, infliggendo frasi che hanno ferito la sua personalità e compromesso il suo benessere, considerando la sua vulnerabilità di undicenne.

Comportamenti violenti e giustificazioni respinte

Il 28 luglio 2020, il padre ha anche aggredito fisicamente la bambina, giustificando l’atto con motivazioni legate a questioni di igiene alimentare. La difesa ha cercato di sostenere che, a causa di impegni lavorativi e della pandemia da Covid-19, l’uomo non viveva con la figlia e l’aveva vista solo in tre fine settimana. Tuttavia, la Cassazione ha respinto queste argomentazioni, affermando che le critiche da parte di un genitore hanno un impatto significativo, specialmente durante un periodo cruciale come quello della crescita e dello sviluppo della figlia.

Testimonianze e casi simili

A confermare il comportamento denigratorio del padre sono state le testimonianze della madre della ragazzina, che ha descritto le visite come occasioni per perpetuare atti di maltrattamento, e della sorella dell’imputato, oltre a una relazione dei servizi sociali. Questo non è un caso isolato. Nel marzo 2024, un padre di origine tunisina è stato condannato dal Tribunale di Verona a quattro anni e quattro mesi di reclusione per maltrattamenti nei confronti del figlio di otto anni, al quale rivolgeva insulti e lo costringeva a digiunare durante il Ramadan, una pratica che, secondo il Corano, dovrebbe iniziare a dodici anni. Questi episodi evidenziano la necessità di una maggiore attenzione e intervento nelle dinamiche familiari, per prevenire situazioni di violenza e maltrattamento.

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