Il 41 bis: analisi del regime penitenziario di massima sicurezza in Italia

Rosita Ponti

Settembre 25, 2025

La ratio del 41 bis consiste nell’interruzione di ogni legame tra il detenuto e l’organizzazione criminale di appartenenza. Questo regime di carcere duro, previsto dal sistema penitenziario italiano, è stato introdotto nel 1986 grazie alla legge n.663, nota come ‘Legge Gozzini’, dal nome del suo promotore. Questa normativa ha apportato modifiche alla legge 26 luglio 1975, n.354, creando un regime di detenzione specifico per situazioni di emergenza o necessità.

Le stragi di mafia del ’92

Le stragi di mafia del 1992, che portarono alla morte dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, hanno rappresentato un momento cruciale nella storia italiana. In seguito a questi eventi, il regime del 41 bis fu introdotto come misura di emergenza, inizialmente concepita come temporanea e legata a quel particolare contesto storico. Tuttavia, il regime è diventato parte integrante del sistema penitenziario italiano. A partire dal 2009, il 41 bis può essere applicato a un detenuto per un periodo di quattro anni, con la possibilità di proroga per ulteriori due anni. Questo regime, definito “carcere duro”, comporta di fatto una sospensione del trattamento penitenziario standard.

Funzionamento del 41 bis

I detenuti sottoposti al regime del 41 bis sono tenuti in celle singole e hanno diritto a due ore di socialità al giorno, limitate a gruppi di massimo quattro persone. Ogni detenuto può avere un colloquio mensile, videosorvegliato, della durata di un’ora, effettuato dietro un vetro divisorio. Coloro che non hanno colloqui possono, dopo sei mesi, richiedere di effettuare una telefonata mensile della durata di dieci minuti. Il regime del 41 bis si applica a reati di natura mafiosa, terroristica e di eversione dell’ordine democratico attraverso atti di violenza. Esistono diverse fattispecie di reati che possono portare all’applicazione del carcere duro, il quale può essere revocato in due circostanze. La prima è su ordine del tribunale di sorveglianza di Roma, l’unico competente in Italia per tali decisioni; la seconda è la scadenza del termine senza proroga. Fino al 2009, era possibile la revoca anche da parte del ministro della Giustizia, nel caso in cui venissero meno i presupposti che giustificavano l’applicazione del carcere duro, ma questa possibilità è stata eliminata dalle modifiche introdotte dalla legge 94/2009.

Polemiche e critiche

Fin dal 1995, il Comitato europeo per la prevenzione della tortura ha definito il 41 bis come il regime penitenziario più severo tra quelli esaminati. Negli anni, la Corte europea per i diritti dell’uomo (Cedu) è intervenuta su questo tema, con l’Italia che ha ricevuto diverse condanne. Un caso emblematico è quello del 2018, quando la Corte ha criticato la proroga del 41 bis dal 2006 fino alla morte del boss mafioso Bernardo Provenzano. Secondo la Cedu, l’Italia ha violato il divieto di trattamenti inumani e degradanti. L’applicazione prolungata del 41 bis, anche a detenuti non condannati in via definitiva, è considerata da alcuni giuristi come incostituzionale. Nonostante ciò, le pronunce della Corte costituzionale hanno generalmente confermato la legittimità del regime. La Corte ha tuttavia evidenziato che ai detenuti venivano riservati “trattamenti penali contrari al senso di umanità”, privi di finalità rieducativa e non “individualizzati”, ma applicati indiscriminatamente sulla base del reato commesso.

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