Paleontologia: scoperti resti di un elefante nano in Sicilia risalenti a 700.000 anni fa

Rosita Ponti

Ottobre 3, 2025

Circa 700.000 anni fa, la Sicilia si presentava come un habitat per elefanti, che raggiunsero l’isola dal continente europeo attraverso l’emersione di porzioni di fondale marino durante le fasi glaciali, creando un naturale “ponte sullo Stretto”. Questi mammiferi, nel corso del tempo, si adattarono all’ambiente locale, evolvendo fino a diventare il più piccolo elefante mai esistito sulla Terra: l’elefante nano.

Scoperta dei resti di elefante

Recentemente, sono stati scoperti i resti di uno di questi animali, appartenente alla specie Palaeoloxodon Mnaidriensis, che visse in Sicilia nel Pleistocene, tra 200.000 e 150.000 anni fa, nella zona di Fontane Bianche, nel Siracusano. Il ritrovamento è stato segnalato da Fabio Branca, geologo dell’Università di Catania, che ha identificato un affioramento di resti di macrofauna vertebrata della specie estinta. Il territorio ibleo è già noto per simili scoperte: a breve distanza si trovano i resti di altri esemplari di Palaeoloxodon, provenienti dalla Grotta di Spinagallo, tra cui il più significativo è il Palaeoloxodon Falconeri, attualmente esposto nel Museo di Paleontologia del DSBGA dell’Università etnea e nel Museo Archeologico Regionale “Paolo Orsi” di Siracusa.

Importanza paleontologica dell’area

L’importanza paleontologica dell’area nord-iblea si aggiunge a una serie di altre caratteristiche che la rendono interessante dal punto di vista geologico e ambientale. I processi carsici hanno portato alla formazione di grotte di grande valore naturalistico, come la Grotta Monello, che è una Riserva Naturale Integrale dal 1998. Gli esperti evidenziano che questo ritrovamento si colloca in un contesto ricco di riserve naturali, zone speciali di conservazione e geositi, rappresentando un patrimonio di geodiversità da studiare e proteggere per le generazioni future, garantendo al contempo una fruizione ecosostenibile. La Sicilia si distingue tra le isole del Mediterraneo per il numero elevato di mammiferi fossili.

Storia evolutiva degli elefanti

L’antenato del Palaeloxodon Mnaidriensis, come spiegato dal museo Gemellaro dell’Università di Palermo, era il Palaeloxodon Antiquus, noto come “l’elefante dalle zanne dritte”, che poteva raggiungere un’altezza di 4,5 metri. Questo animale colonizzò la Sicilia in due momenti distinti: la prima volta circa 690.000 anni fa, dando origine al Palaeloxodon Falconeri, e una seconda volta, intorno a 200.000 anni fa, alla specie i cui resti sono stati rinvenuti nel Siracusano.

Evoluzione insulare degli elefanti

Sia il Palaeloxodon Falconeri che il Palaeloxodon Mnaidriensis rappresentano un esempio emblematico di evoluzione insulare. Le isole, infatti, fungono da “laboratori naturali dell’evoluzione”, dove l’isolamento e le risorse limitate portano a trasformazioni uniche. Il Palaeloxodon Falconeri, privo di predatori in Sicilia, subì un notevole rimpicciolimento per adattarsi alla scarsità di cibo. La successiva specie, Palaeloxodon Mnaidriensis, si ridusse rispetto all’antenato continentale, ma in misura minore, poiché arrivò in Sicilia insieme ad altri grandi mammiferi, predatori e competitori, e non poteva permettersi di restare piccolo.

Caratteristiche fisiche e abitudini alimentari

Un’analisi volumetrica dei fossili rinvenuti ha rivelato che i maschi pesavano circa 250 kg, mentre le femmine si attestavano intorno ai 150 kg. Rispetto ai loro antenati, gli elefanti nani erano più agili, avevano un cervello proporzionalmente più grande, una crescita più lenta e una vita più lunga. Anche le abitudini alimentari hanno contribuito al loro rimpicciolimento. Secondo uno studio pubblicato su Papers Antology, condotto da ricercatori delle Università di Padova e Zaragoza, le specie Falconeri e Mnaidriensis erano pascolatori e grandi consumatori di vegetazione erbacea abrasiva. Il piccolo Falconeri, alto appena 1 metro, viveva in un ambiente con poche altre specie, e la scarsità di risorse lo costrinse a nutrirsi di piante dure e ricche di silice. La specie Mnaidriensis, che raggiungeva un’altezza di 1,8-2 metri, condivideva invece l’isola con ippopotami e altri grandi mammiferi, la sua dieta rifletteva l’adattamento a un paesaggio sempre più dominato da praterie.

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