Guerre e crisi climatica: l’interconnessione nelle attuali rotte migratorie

Veronica Robinson

Ottobre 6, 2025

Un’analisi dell’associazione A Sud, inserita nel Dossier statistico immigrazione 2025 di IDOS, rivela come i conflitti armati contribuiscano in modo significativo alla migrazione da Paesi colpiti da disastri ambientali. La presentazione del dossier è programmata per il 4 novembre 2025 e offre spunti importanti sulla connessione tra crisi climatica e migrazioni forzate.

La crisi climatica e i conflitti armati

La crisi climatica e i conflitti armati stanno creando nuove rotte migratorie, come evidenziato nel contributo di A Sud. L’analisi sottolinea un aspetto spesso trascurato: il riscaldamento globale è influenzato anche dalle emissioni di gas serra generate dai conflitti. Secondo l’ong britannica Cebos, il settore militare occupa il quarto posto a livello mondiale per emissioni, con un’incidenza del 5,5%. Questa cifra è solo una stima, poiché il settore bellico non è incluso nei negoziati internazionali sul clima, rimanendo così in una sorta di limbo.

Il legame tra guerre e clima

Il legame tra guerre e clima non solo impatta l’ambiente, ma ha anche ripercussioni dirette sulle migrazioni. Tradizionalmente, le categorie di migranti sono state distinte, ma oggi le cause che spingono le persone a lasciare le proprie terre sono sempre più interconnesse. Secondo l’IDMC, Centro internazionale di monitoraggio sul clima in Norvegia, nel 2024 si sono registrati 45,8 milioni di sfollati interni a causa di disastri naturali e fenomeni legati ai cambiamenti climatici. Questo numero rappresenta un record, evidenziando un’anomalia rispetto alla media annuale degli ultimi quindici anni, che si attestava sui 24 milioni.

Nuove tendenze nelle migrazioni climatiche

Il rapporto di A Sud mette in luce una nuova tendenza: la guerra sta diventando sempre più una concausa delle migrazioni climatiche. Un’indagine condotta dall’IDMC in collaborazione con la Notre Dame Global Adaptation Initiative ha rivelato che oltre il 75% delle persone sfollate a causa di conflitti risiedeva in Paesi altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici. Questo dimostra come la crisi ambientale influenzi le decisioni migratorie.

Progetto di ricerca e advocacy

Ulteriori conferme provengono da un progetto di ricerca e advocacy intitolato “Le Rotte del Clima”, che ha coinvolto 348 migranti in Italia. Tra coloro che hanno dichiarato di migrare per motivi di studio, lavoro o per cercare condizioni di vita migliori, il 69% ha citato anche il degrado ambientale e le mutate condizioni climatiche nei propri Paesi d’origine. Tra questi, figurano nazioni come Costa d’Avorio, Somalia e Afghanistan, già noti per le crisi umanitarie legate ai conflitti e all’instabilità politica, oltre che per la loro vulnerabilità a fenomeni come siccità e desertificazione. Il progetto ha evidenziato la necessità di una condanna esplicita delle devastazioni ambientali causate da guerre, suggerendo di considerare l’ecocidio come un reato.

Riflessioni sulla migrazione e la sicurezza climatica

Maria Marano, responsabile del Programma Migranti ambientali di A Sud, ha dichiarato che ridurre le emissioni di gas serra non è solo una questione ambientale, ma una scelta politica fondamentale per i governi. L’Unione Europea, nel frattempo, ha avviato un piano di difesa militare, il ReArm Europe, da 800 miliardi di euro, che potrebbe generare un aumento di circa 200 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, equivalente alle emissioni di un Paese come il Pakistan. La mancanza di attenzione verso la sicurezza climatica da parte dei governi è preoccupante, poiché potrebbe esacerbare le tensioni e i conflitti.

Riconsiderare le frontiere e le migrazioni

Antonio Ricci, vicepresidente di IDOS, ha sottolineato la necessità di ripensare il concetto di migrazione, invitando a considerare le frontiere non come linee da difendere, ma come spazi di responsabilità condivisa. Le migrazioni, secondo Ricci, non devono essere viste come una minaccia, ma come un segnale di un disordine globale, il risultato di crisi interconnesse che richiedono una nuova visione delle priorità collettive. La cura dell’altro e la salvaguardia del pianeta devono diventare parte integrante di un progetto condiviso per il futuro.

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