Alzheimer: studio italiano rivela potenzialità terapeutiche dell’epigenetica

Rosita Ponti

Ottobre 7, 2025

Un team di ricerca internazionale, composto da esperti del Dipartimento di Medicina Sperimentale e del Centro di Ricerca in Neurobiologia ‘Daniel Bovet’ (Crin) della Sapienza Università di Roma, ha fatto un’importante scoperta nel campo della malattia di Alzheimer. I risultati di questo studio, pubblicati il 15 gennaio 2025 sulla rivista scientifica ‘Alzheimer’s & Dementia’, rivelano un complesso dialogo molecolare tra la metilazione del DNA e i microRna, due meccanismi fondamentali per la regolazione dell’espressione genica. Questo interscambio molecolare è cruciale per controllare la produzione della proteina beta-amiloide, la cui accumulazione nel cervello è un evento patologico centrale nella malattia di Alzheimer.

Ricerca sull’alzheimer e limiti delle attuali terapie

Negli ultimi anni, la comunità scientifica ha focalizzato i propri sforzi sull’eliminazione delle placche di beta-amiloide, ma i risultati sono stati spesso deludenti. Molti dei farmaci sviluppati per affrontare questa problematica hanno mostrato inefficacia durante le sperimentazioni cliniche. Pertanto, l’attenzione si sta ora spostando verso i meccanismi che regolano la produzione di questa proteina, che, sebbene tossica in eccesso, ha anche un ruolo fisiologico. Il professor Andrea Fuso, coordinatore del gruppo di ricerca, spiega che la beta-amiloide è generata da due enzimi, Psen1 e Bace1, che agiscono come “forbici molecolari” su una proteina precursore. In precedenti studi, il team aveva già dimostrato che la produzione di Psen1 poteva essere ridotta attraverso la metilazione del DNA, un meccanismo epigenetico che silenzia i geni. Tuttavia, rimaneva da chiarire il funzionamento della regolazione di Bace1.

La complessità della regolazione di Bace1

La nuova ricerca ha evidenziato che la regolazione di Bace1 è più complessa di quanto inizialmente si pensasse. I ricercatori hanno scoperto che la metilazione del DNA non agisce direttamente su Bace1, ma regola l’espressione di un microRna chiamato miR-29a. Questi microRna operano come silenziatori di precisione, legandosi a specifici geni e impedendo la loro traduzione in proteine. Quando i livelli di miR-29a aumentano, la produzione di Bace1 diminuisce, portando a una riduzione della beta-amiloide. In modo sorprendente, la metilazione del gene che produce miR-29a non lo silenzia, ma ne incrementa l’espressione. Questo meccanismo epigenetico controintuitivo rivela una nuova e complessa logica di controllo cellulare, in cui la metilazione regola la produzione di beta-amiloide sia attraverso un percorso diretto che uno indiretto.

Implicazioni terapeutiche e nuove strategie

Questa scoperta non rappresenta solo un passo avanti nella comprensione della malattia, ma apre anche la strada a potenziali nuove strategie terapeutiche. Il sistema è modulato da un ciclo biochimico noto come one-carbon metabolism, influenzato da nutrienti come le vitamine del gruppo B e da molecole come la S-adenosilmetionina (Sam). La ricerca dimostra che l’integrazione di Sam può aumentare la metilazione, attivare il miR-29a e ridurre la produzione di beta-amiloide. Questo suggerisce che molecole “metilanti” potrebbero essere utilizzate come farmaci epigenetici per prevenire o rallentare la progressione della malattia.

Prospettive future e biomarcatori

Oltre alla Sam, i ricercatori stanno indagando su altri interventi, come la Vitamina K2 e composti presenti in estratti di cellule staminali e nelle uova di pesce, che potrebbero modulare la risposta epigenetica delle cellule. Questi studi sono fondamentali poiché i fattori epigenetici possono influenzare anche processi molecolari associati all’Alzheimer, come la neuroinfiammazione e la funzione della barriera emato-encefalica. Inoltre, il profilo di metilazione di Psen1 e i livelli di miR-29a potrebbero diventare biomarcatori precoci per la malattia o per la risposta a un trattamento, misurabili tramite semplici esami del sangue.

La ricerca è stata possibile grazie alla collaborazione tra la Sapienza, l’Università di Napoli “Federico II” e l’Università di Barcellona, segnando un passo significativo nella lotta contro la malattia di Alzheimer e aprendo nuove strade per la terapia e la diagnosi.

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