Violenza di gruppo a Seminara: una vittima racconta il suo dramma e le minacce ricevute

Veronica Robinson

Novembre 12, 2025

Seminara, un piccolo comune situato nella provincia di Reggio Calabria, è tornato a far parlare di sé a causa delle gravi violenze subite da due ragazze minorenni. Le giovani hanno denunciato di essere state vittime di stupro e ricatti da parte di un gruppo di coetanei, alcuni dei quali legati a famiglie di stampo mafioso. Una delle vittime, oggi adulta, ha deciso di rompere il silenzio e raccontare la sua drammatica esperienza. Ricorda con angoscia gli attacchi subiti: “Dopo le prime denunce, mi dicevano che ero pazza e che dovevo ammazzarmi. Mi hanno insultata, minacciata, picchiata e frustata. Ma io sono qui. Piuttosto che vivere nella menzogna avrei preferito morire. Quella non era vita, era la morte in vita”.

La ricostruzione di una quotidianità

Oggi Anna ha 22 anni e, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, racconta del suo trasferimento in un altro paese per cercare un po’ di serenità: “Questo mi aiuta. Prima vivevo chiusa in casa, barricata. Ogni mattina mi dicevo che avrei provato a uscire, ma non riuscivo. Restavo a letto a piangere”. La giovane è accompagnata solo dalla madre: “Solo lei è stata al mio fianco. Anche prima avevo accanto soltanto lei. Mia sorella mi è stata vicina per un po’, ma poi mi ha abbandonata”.

Il pericolo in famiglia

Anna chiarisce che la minaccia non proveniva solo dagli aggressori, ma anche da alcuni membri della sua famiglia. “Mio fratello, la mia sorella e i loro compagni hanno il divieto di avvicinarsi a me. Mia zia e mio cugino indossano un braccialetto elettronico: se si avvicinano, il mio dispositivo suona”. Le sue parole si fanno più dure quando descrive le violenze domestiche: “Mi hanno minacciata e maltrattata, volevano convincermi a ritirare la denuncia contro chi mi aveva stuprata. Mia zia, sorella di mio padre, e suo figlio mi hanno picchiata. Mia zia mi ha frustata con una corda e mi diceva che dovevo morire, che avrei fatto meglio a non nascere. Si affacciava alla finestra per urlare insulti contro di me, dicendo che avevo rovinato la reputazione di tutti. Se mio padre fosse stato vivo, non si sarebbe permessa di farlo. Mi manca moltissimo mio padre”.

La forza di denunciare

La decisione di Anna di raccontare la sua storia è stata influenzata dalla vicenda di un’altra giovane, anch’essa vittima dello stesso gruppo: “Se non fosse venuta alla luce la storia dell’altra ragazza, probabilmente non avrei mai trovato il coraggio di denunciare. Ma quando ho saputo cosa avevano fatto a lei, ho deciso di parlare”.

Gli anni di silenzio e di paura

Prima di denunciare, Anna ha vissuto nel terrore: “Mi tenevo tutto dentro. Mi dicevano che, se avessi parlato, avrebbero ucciso i miei familiari. Avevo paura”. Questa paura ha distrutto la sua fiducia negli altri, portando anche alla perdita di affetti sinceri: “Sì, avevo un fidanzato. Quando ha scoperto dello stupro, mi ha lasciata subito”.

Il sostegno delle forze dell’ordine

Nel suo racconto, Anna esprime gratitudine verso coloro che le hanno creduto: “La polizia e i carabinieri, in particolare la dirigente del commissariato di Palmi e il mio poliziotto di fiducia. Senza i loro abbracci non ce l’avrei mai fatta. Sono stati la mia forza. Non li ringrazierò mai abbastanza”.

Il legame con l’altra vittima

Anna mantiene un contatto con l’altra giovane vittima: “Ogni tanto, sì. So che nella scuola che frequenta ci sono anche due dei condannati in primo grado, che all’epoca dei fatti erano minorenni. Ora si ritrovano lì ogni giorno. Così rivive tutto, in continuazione. Mi chiedo: ma come è possibile?”.

Il ritorno impossibile

Nonostante il desiderio di ricominciare, tornare nel suo paese d’origine è impossibile per Anna: “Mai. L’altro giorno sono tornata al paese per far visita a mio padre al cimitero e mi sono sentita malissimo. Anche fisicamente. Sono crollata, mi sentivo svenire, mi veniva da vomitare”.

Guardare avanti

Il processo è in corso e Anna alterna momenti di speranza e paura: “È dura. All’udienza per l’inchiesta riguardante mia zia e suo figlio, il mio avvocato mi ha detto che, per fortuna, non devo andarci. A volte penso che non mi libererò mai del mio fardello. Che non sarò mai felice”. Tuttavia, continua a sognare: “Voglio seguire un corso per diventare estetista, spero di iniziare presto e di trovare nuove amicizie. Il mio futuro è qui, in Calabria. È casa mia, nonostante tutto”.

×