Violenza sulle donne: il 55% delle vittime soffre di stress post-traumatico

Rosita Ponti

Novembre 23, 2025

“Più della metà delle donne che hanno subito violenza presenta, a distanza di anni, un disturbo da stress post-traumatico, mentre un quarto mostra sintomi di depressione e un terzo si trova ad alto rischio di subire nuovamente violenza.” Questi dati allarmanti emergono dallo studio condotto sulle prime 100 donne che hanno accettato di donare un campione di sangue per il progetto di ricerca EpiWe, dedicato all’epigenetica femminile. Il progetto è coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e finanziato dal Ministero della Salute, con l’obiettivo di analizzare come la violenza possa influenzare l’attività dei geni e compromettere la salute psico-fisica delle donne nel lungo periodo.

Espansione della ricerca ai minori esposti a violenza

La ricerca si espande ora per includere anche i minori che hanno assistito a episodi di violenza. Grazie a una collaborazione con la Regione Puglia, il progetto ha ampliato il suo raggio d’azione per studiare le “cicatrici” lasciate dalla violenza nel DNA di questi giovani. I primi risultati indicano che anche per loro ci sono conseguenze psicologiche significative.

L’ISS ha raccolto dati su 76 vittime di violenza, utilizzando un campione di controllo. Per facilitare la partecipazione, è stato elaborato un questionario elettronico innovativo, EpiWe, disponibile in italiano e in altre quattro lingue (inglese, francese, spagnolo, tedesco) per raggiungere anche le donne immigrate e i mediatori linguistici.

Analisi delle cicatrici epigenetiche

I questionari saranno integrati con analisi sui campioni di sangue per identificare le cicatrici epigenetiche nel DNA. Queste impronte molecolari non alterano la sequenza genetica, ma ne modificano la funzionalità. Attualmente, il progetto EpiWe coinvolge le regioni Lazio, Lombardia, Campania, Puglia e Liguria, dove le donne possono ancora partecipare donando un campione.

Dai dati preliminari, oltre la metà delle donne coinvolte presenta disturbi post-traumatici significativi: il 27% ha ricevuto una diagnosi di disturbo da stress post-traumatico (PTSD) e il 28,4% di PTSD complesso (C-PTSD). Inoltre, il 23% delle vittime mostra sintomi depressivi, mentre il 32% è considerato ad alto rischio di subire nuovamente violenza. La maggior parte delle donne ha un livello d’istruzione pari o superiore al diploma di maturità, il 34% ha un’occupazione stabile e l’82% è di cittadinanza italiana. Gli aggressori sono prevalentemente uomini, con il 71% dei casi che coinvolgono coniugi o partner, e nel 90% dei casi la violenza si ripete nel tempo.

Progetto EpiChild per i minori

“La violenza domestica lascia segni epigenetici che alterano l’espressione dei geni senza modificarne la sequenza,” afferma Simona Gaudi, responsabile del progetto per l’ISS. “Studiare queste modifiche ci permetterà di prevedere gli effetti a lungo termine della violenza e sviluppare interventi preventivi personalizzati.” Il progetto EpiWe ha portato alla creazione di un secondo strumento, EpiChild, destinato a bambini e adolescenti. Finora, è stato somministrato a 26 minori di età compresa tra 7 e 17 anni, inclusi otto orfani speciali, che hanno assistito a violenze in famiglia. Questi minori sono stati arruolati in Puglia nell’ambito dello studio Esmiva, che si occupa degli esiti di salute nei minori esposti a violenza assistita.

Interventi necessari per affrontare le conseguenze della violenza

I risultati preliminari indicano che quasi l’80% dei minori ha vissuto come traumatico l’aver assistito a violenze fisiche in famiglia, con diversi casi di PTSD complesso e depressione elevata. Il 42,3% dei minori ha genitori separati o divorziati, e nel 92,3% dei casi l’aggressore è il padre. “Questi risultati evidenziano l’urgenza di implementare screening sistematici nelle strutture sanitarie e nei servizi sociali, interventi multidisciplinari integrati tra sanità, scuola e servizi sociali, e protocolli di prevenzione personalizzati basati su evidenze scientifiche,” conclude Gaudi. Lo studio continuerà con follow-up programmati per monitorare l’evoluzione dei sintomi e costruire una base dati per future ricerche sul trauma transgenerazionale.

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