Un ambiente accogliente e vivace accoglie le donne che si rivolgono al centro antiviolenza SVS DAD (Donna Aiuta Donna), situato a Milano. Entrando, si viene avvolti da un’atmosfera di calore, con fiori e coperte ricamate che decorano gli spazi. Al contempo, la Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate, sempre nel capoluogo lombardo, si presenta con un cartello che invita a riflettere: “Potremmo parlare di violenza, ma parliamo di libertà”. Per molte donne, attraversare queste soglie rappresenta un passo cruciale verso la ricerca di aiuto e di una vita migliore, specialmente in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, celebrata il 25 novembre. Tgcom24 ha visitato questi centri, parte integrante della Rete antiviolenza del Comune di Milano, per comprendere come operano e l’importanza di rivolgersi a professionisti in situazioni di violenza, sia essa fisica, psicologica, sessuale o economica.
Modalità di accesso ai centri antiviolenza
Il centro antiviolenza SVS DAD, attivo dal 1997, sostiene annualmente circa 500 donne. Claudia Di Palma e Denise Milani, rispettivamente coordinatrice e responsabile dell’accoglienza, illustrano il processo di accesso. “Il canale principale è telefonico: le donne trovano il numero online o ricevono indicazioni da consultori, ospedali, forze dell’ordine o amiche. Alcune optano per l’email”, afferma Milani. Il centro è collegato al numero verde nazionale antiviolenza 1522, che offre supporto e indirizza verso le risorse disponibili in base alla localizzazione. “Le operatrici forniscono diverse opzioni in base alla zona indicata dalla donna”, aggiunge Di Palma.
Il primo contatto e le fasi successive
Dopo il primo contatto, le operatrici organizzano un incontro di accoglienza. Durante questo colloquio iniziale, ascoltano la testimonianza della donna e valutano la situazione per determinare eventuali rischi. “In situazioni di pericolo, può succedere di consigliare di non tornare a casa. È un momento difficile, poiché molte donne non percepiscono appieno il rischio che corrono”, spiega Di Palma. Se necessario, si propone di collocare la donna in case rifugio o, in caso di necessità immediata, si può anche optare per un albergo temporaneo.
Per le situazioni meno critiche, il centro offre una gamma di servizi: ascolto, informazioni sulle opzioni disponibili, accoglienza, supporto psicologico, consulenza legale e assistenza. “I percorsi non sono standardizzati e possono variare da sei mesi a tre anni, a seconda delle esigenze individuali”, chiarisce Di Palma. È fondamentale che la donna si senta seguita e supportata durante tutto il processo.
Tipologie di violenza e profilo delle donne assistite
La maggior parte delle donne assistite dal centro ha vissuto maltrattamenti. “Registriamo anche casi di violenza sessuale, spesso avvenuti in contesti familiari, perpetrati da partner o ex partner”, spiega Di Palma. L’età delle donne è molto varia, spaziando da giovani a donne oltre i 60 anni. Milani lancia un allarme riguardo a un abbassamento dell’età in cui si iniziano a vivere relazioni violente, sottolineando l’importanza della sensibilizzazione nelle scuole e tra i genitori.
La difficoltà nel chiedere aiuto
Milani evidenzia le difficoltà che le donne affrontano nel riconoscere la violenza. “Il processo di consapevolezza è lungo, poiché le relazioni violente si sviluppano nel tempo. Spesso, le donne iniziano una relazione vedendo solo il lato positivo del partner, rendendo difficile ammettere che qualcosa non va”, afferma. La violenza si presenta come un evento traumatico, ma il maltrattamento è un processo che si costruisce gradualmente, complicando ulteriormente la situazione.
Motivazioni dietro la richiesta di aiuto
Le motivazioni che spingono le donne a contattare il centro variano: dall’esasperazione alla preoccupazione per i figli. Molte donne mature si rivolgono ai centri quando sentono di non avere più nulla da perdere, come nel caso di figli ormai adulti. Questa situazione espone a rischi elevati, come sottolinea Milani.
Il ruolo delle case rifugio
Il centro antiviolenza Cadmi, attivo dal 1986, ha assistito oltre 36.000 donne e dispone di nove case rifugio. Siham Hibu, responsabile delle strutture, spiega che otto di esse offrono protezione immediata, mentre una è dedicata a donne migranti. “In un anno, accogliamo circa venti donne, alcune con figli”, afferma Hibu, evidenziando che l’età media delle donne è notevolmente diminuita negli ultimi due anni.
Accesso alle case rifugio
L’accesso alle case rifugio avviene solo dopo un colloquio con il centro antiviolenza. “Non siamo un pronto intervento. Valutiamo attentamente la situazione e concordiamo con la donna se sia opportuno intraprendere questo percorso”, spiega Hibu. Le case rifugio sono destinate a donne in situazioni di grave pericolo o a giovani che necessitano di supporto in un contesto di maltrattamento familiare.
Segretezza e vita quotidiana nelle case rifugio
La segretezza dell’indirizzo è fondamentale per garantire la sicurezza delle ospiti. “Le donne vivono in case normali e noi operatrici le supportiamo su appuntamento, rispettando i loro bisogni”, sottolinea Hibu. La vita quotidiana nelle case rifugio è simile a quella di chiunque altro, con donne che lavorano, vanno a scuola e si dedicano alla cura dei propri figli, ricevendo supporto pratico ed emotivo.
Durata dei percorsi e criticità
I percorsi di assistenza durano in media due anni, con un primo periodo dedicato all’adattamento e alla costruzione di una relazione di fiducia con le operatrici. Tuttavia, le difficoltà economiche e burocratiche possono ostacolare il raggiungimento dell’autonomia abitativa, come evidenziato da Hibu.
Importanza del supporto professionale
Di Palma sottolinea l’importanza di rivolgersi a centri antiviolenza, che offrono un supporto multidisciplinare. “Non basta denunciare, è necessario avere una rete di supporto che tenga conto delle complessità delle situazioni di violenza”, afferma.
Prevenzione e cambiamento culturale
Entrambe le operatrici concordano sull’importanza di un cambiamento culturale, a partire dall’educazione dei bambini. “Dobbiamo insegnare ai bambini a esprimere le proprie emozioni e a non cadere negli stereotipi di genere”, conclude Di Palma.
Il messaggio finale è chiaro: “Se siete vittime di violenza, rivolgetevi ai centri antiviolenza. È il primo passo verso la libertà”, affermano all’unisono Di Palma e Milani, incoraggiando le donne a non avere paura di chiedere aiuto.
