La recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea rappresenta un passo significativo nel riconoscimento dei diritti delle coppie dello stesso sesso all’interno dell’Unione. Il 12 febbraio 2025, la Corte ha stabilito che ogni Stato membro è obbligato a riconoscere i matrimoni tra cittadini dell’Unione, anche se celebrati in un altro Stato membro. Questa decisione sottolinea l’importanza della libertà di circolazione e del diritto di condurre una vita familiare normale per i cittadini dell’Unione Europea.
Il riconoscimento dei diritti fondamentali
La Corte ha chiarito che il rifiuto di riconoscere un matrimonio tra persone dello stesso sesso non solo viola la libertà di circolazione e soggiorno, ma infrange anche il diritto fondamentale al rispetto della vita privata e familiare. Anche se le normative sul matrimonio rientrano nella competenza nazionale, in questo caso prevalgono i diritti individuali stabiliti dai Trattati dell’Unione Europea. È importante notare che la Corte non impone l’introduzione del matrimonio tra persone dello stesso sesso nel diritto interno di ciascun Stato, ma consente agli Stati membri di avere un certo margine di discrezionalità riguardo alle procedure di riconoscimento.
Il caso dei cittadini polacchi
La questione giuridica che ha portato a questa sentenza ha coinvolto due cittadini polacchi, uniti in matrimonio in Germania, che avevano richiesto la trascrizione del loro certificato di matrimonio nel registro civile polacco. Le autorità polacche avevano inizialmente respinto la richiesta, sostenendo che la legislazione nazionale non riconosce il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Dopo aver contestato il rifiuto, i coniugi si sono rivolti alla giustizia, e la Corte Suprema Amministrativa Polacca ha deciso di chiedere un parere alla Corte di giustizia dell’Unione Europea, che ha ora emesso una sentenza chiara e definitiva.
Reazioni e implicazioni politiche
Le reazioni a questa sentenza sono state contrastanti. Le forze progressiste all’interno dell’Unione Europea hanno sollecitato gli Stati membri più conservatori a riconoscere i diritti già garantiti in altre nazioni, mentre le forze di destra hanno denunciato un’ingerenza da parte delle istituzioni europee. La sentenza mette in evidenza come i diritti individuali possano sovrastare l’esclusività nazionale nel legiferare in materia di diritto di famiglia. Nel 2022, la Commissione europea aveva già proposto un regolamento per garantire il riconoscimento automatico della genitorialità in tutti gli Stati membri, indipendentemente dal genere dei genitori. Questo progetto, approvato dal Parlamento europeo, è attualmente bloccato in Consiglio, dove è necessaria l’unanimità per procedere.
Il precedente Coman e il contesto giuridico
Questa sentenza segue un’altra decisione cruciale della Corte, nota come caso Coman, datata 5 giugno 2018. In quel frangente, un cittadino romeno, Adrian Coman, sposato in Belgio con un cittadino statunitense, si era trovato di fronte al rifiuto della Romania di riconoscere il loro matrimonio e il diritto di soggiorno di Clai Hamilton. La Corte stabilì che il termine “coniuge” per la libera circolazione include anche le coppie dello stesso sesso, anche in assenza di riconoscimento da parte dello Stato membro ospitante. Questa sentenza ha segnato un cambiamento significativo rispetto alla posizione assunta nel 2021, quando la Corte aveva negato l’equiparazione automatica tra partnership registrata e matrimonio in un caso riguardante un funzionario svedese. Tuttavia, nel 2021, la Corte aveva anche imposto alla Bulgaria di riconoscere il legame familiare di una coppia di madri ai fini della libera circolazione, dimostrando che il riconoscimento dell’identità familiare creata in un altro Stato membro è essenziale, anche se non obbliga il riconoscimento del matrimonio stesso nel diritto nazionale.
