Raid statunitense contro un’imbarcazione di narcotrafficanti: quattro morti per ordine di Hegseth

Veronica Robinson

Dicembre 5, 2025

La situazione del Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Pete Hegseth, è diventata sempre più precaria nel 2025, in seguito alle controversie legate agli attacchi navali nel Mar dei Caraibi e alle rivelazioni preoccupanti emerse da un rapporto interno sull’uso dell’applicazione Signal. La tensione con il Venezuela rimane alta, nonostante un recente colloquio telefonico tra Donald Trump e Nicolás Maduro. Gli Stati Uniti hanno dispiegato una significativa forza militare nelle vicinanze delle acque venezuelane, dichiarando l’intento di combattere il narcotraffico, ma Caracas percepisce questa azione come una minaccia di natura politica.

Attacco letale in acque internazionali

Nella serata di giovedì, 25 ottobre 2025, le forze statunitensi hanno eseguito un nuovo attacco letale contro un’imbarcazione in acque internazionali, seguendo un ordine diretto del Segretario alla Guerra. Secondo la versione fornita dal comando militare statunitense, l’imbarcazione era sotto il controllo di un’organizzazione terroristica e i servizi segreti hanno confermato il trasporto di sostanze stupefacenti illegali. La nave stava percorrendo una rotta nota per il traffico di droga nel Pacifico orientale. L’operazione ha avuto esito fatale, con l’uccisione di quattro persone a bordo.

Il controverso attacco alla nave della droga

Un caso particolarmente delicato che mina la posizione di Hegseth è legato all’attacco mortale contro una presunta “nave della droga” avvenuto nei Caraibi il 2 settembre 2025. Le prime indagini avevano indicato l’ammiraglio Frank Bradley, alto comandante della Marina Americana, come il mandante dell’operazione. Tuttavia, durante un’audizione davanti alle Commissioni Difesa e Intelligence di Camera e Senato, Bradley ha scagionato Hegseth, affermando che il Segretario non aveva dato l’ordine di “uccidere tutti i sopravvissuti” e di affondare l’imbarcazione colpita. In un secondo momento, l’ammiraglio ha rivendicato l’ordine per un secondo attacco, giustificando che le due persone sopravvissute al primo raid erano “obiettivi legittimi” poiché avrebbero potuto continuare a trasportare droga. Questa affermazione ha suscitato forti critiche, in particolare da parte del deputato democratico Jim Himes, che ha descritto il video dell’operazione come “una delle cose più preoccupanti” che avesse mai visto in Congresso.

Le implicazioni del caso Signal

Parallelamente, un rapporto del Dipartimento della Difesa riguardante le chat di Signal ha sollevato ulteriori polemiche, portando a nuove richieste di dimissioni. L’ispettore generale del Pentagono ha stabilito che Hegseth ha potuto “mettere in pericolo i soldati e la missione USA” condividendo piani militari relativi agli attacchi in Yemen tramite l’app di messaggistica. Sebbene il rapporto non abbia riscontrato violazioni tecniche delle norme sulle informazioni classificate, l’opposizione ha definito questo aspetto una “pura tecnicalità” che non giustifica il comportamento del Segretario. Critiche sono emerse anche da esponenti repubblicani, con il senatore Mark Warner che ha chiesto le dimissioni di Hegseth. La frustrazione cresce tra i membri del partito, nonostante il sostegno pubblico di Trump. Il leader della maggioranza al Senato, John Thune, ha etichettato il caso Signal come un “errore”, lasciando al Presidente la decisione finale sul futuro di Hegseth.

La causa legale del New York Times

A complicare ulteriormente la situazione per Hegseth, si aggiunge una causa legale intentata dal New York Times contro il Dipartimento della Difesa, Hegseth e il portavoce del Pentagono, Sean Parnell. Presentata presso la Corte Federale di Washington, la denuncia chiede l’abrogazione delle nuove restrizioni all’accesso della stampa, che hanno costretto i giornalisti a restituire i loro tesserini. Charlie Stadtlander, portavoce del Times, ha dichiarato che questa politica rappresenta un tentativo di controllo su informazioni sgradite al governo, violando il diritto alla libertà di stampa garantito dal primo e quinto Emendamento della Costituzione.

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