Unione Europea: approvata la creazione di Hub per migranti in Paesi terzi

Veronica Robinson

Dicembre 8, 2025

Nel corso del Consiglio Affari Interni dell’Unione Europea, tenutosi a Bruxelles il 15 gennaio 2025, i rappresentanti dei governi hanno raggiunto un accordo politico che modifica in maniera significativa le normative relative al rimpatrio dei migranti irregolari. Questa intesa introduce la possibilità di istituire centri di gestione in Paesi terzi, una misura che suscita preoccupazioni in un contesto di diminuzione degli arrivi irregolari, suggerendo che le decisioni siano più influenzate da pressioni politiche interne che da una reale emergenza migratoria.

Il Commissario europeo austriaco, Magnus Brunner, ha dichiarato che l’obiettivo di tali misure è “far percepire ai cittadini che la situazione è sotto controllo”. Questa affermazione ha sollevato interrogativi sulla vera natura delle politiche migratorie dell’Unione, evidenziando che l’attenzione sembra essere rivolta più alla percezione pubblica che all’efficacia delle azioni intraprese. Le critiche sono piovute da parte di esponenti della sinistra e delle organizzazioni per i diritti umani, che denunciano il rischio di violazioni dei diritti fondamentali dei migranti. Silvia Carta, rappresentante di Picum, ha avvertito che le nuove politiche potrebbero esporre un numero maggiore di persone a situazioni di pericolo e incertezze giuridiche.

Le misure approvate

Il pacchetto adottato include tre interventi principali: l’accelerazione delle procedure di rimpatrio, l’estensione dei periodi di detenzione per chi ha ricevuto un diniego e la creazione di centri in Paesi terzi per il trasferimento delle persone respinte. Inoltre, è stato introdotto un nuovo Ordine di Rimpatrio Europeo, che automatizza il riconoscimento delle decisioni tra gli Stati membri, e un fondo di solidarietà destinato a sostenere i Paesi più esposti agli arrivi di migranti. Questa riforma si propone di standardizzare e velocizzare le procedure, elementi che l’Unione Europea ha ritenuto prioritari negli ultimi anni.

Tuttavia, non tutte le nazioni membri sono convinte della validità di queste misure. Francia e Spagna, per esempio, hanno sollevato dubbi riguardo alla loro applicabilità e alla legittimità dei centri in Paesi terzi. Le esperienze passate, come quelle legate all’accordo tra Italia e Albania, dimostrano che la creazione di strutture al di fuori dell’Unione è più complessa del previsto.

Il caso Italia-Albania

Il trasferimento di migranti verso centri in Albania è attualmente oggetto di un procedimento presso la Corte di Giustizia Europea, con due richieste pregiudiziali presentate da giudici italiani. Durante l’analisi della nozione di “Paese sicuro”, la Corte ha stabilito che una designazione generica non è sufficiente; è necessaria la garanzia di un controllo giurisdizionale effettivo per ogni individuo. La Corte ha rifiutato di trattare la causa con procedura d’urgenza, avvertendo che la decisione finale potrebbe richiedere anche due anni.

In precedenti sentenze, la Corte ha chiarito che non basta un decreto-legge di uno Stato membro per considerare un Paese terzo “sicuro” e trasferire lì migranti o richiedenti asilo. Questa designazione deve poter essere contestata dai giudici nazionali, garantendo un controllo giurisdizionale. Nel caso specifico esaminato, in cui migranti soccorsi in mare sono stati trasferiti in centri di detenzione in Albania sulla base di accordi con l’Italia, la Corte ha stabilito che la normativa italiana non rispettava le garanzie previste dal diritto dell’Unione Europea.

Un clima politico che spinge in una direzione sola

Il pacchetto sui rimpatri ha ricevuto il primo via libera grazie all’alleanza tra partiti di destra e estrema destra nel Parlamento europeo. Questo sviluppo è indicativo di un cambiamento nel panorama politico riguardante le questioni migratorie, dove proposte un tempo considerate marginali sono ora entrate nel dibattito principale. La Danimarca, che attualmente presiede il Consiglio dell’Unione Europea, è da anni in prima linea nella promozione di politiche restrittive. In questo contesto, diversi governi sembrano più interessati a mostrare fermezza piuttosto che a valutare l’efficacia delle misure adottate.

La questione irrisolta della solidarietà

Un tema centrale che resta da affrontare è quello del meccanismo di ricollocazione dei richiedenti asilo. Secondo il sistema attuale, ogni Stato dell’Unione deve accogliere una quota di migranti o, in alternativa, versare 20.000 euro per ogni persona non ricollocata. Tale soluzione è stata pensata per alleviare il carico su Paesi come Italia e Grecia, ma rischia di trasformarsi in una mera compensazione economica piuttosto che in un reale impegno condiviso. Alcuni governi hanno già dichiarato la propria intenzione di optare per il pagamento piuttosto che accogliere i migranti, evidenziando la fragilità del principio di solidarietà, che dovrebbe costituire uno dei fondamenti del nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo.

Cosa resta fuori dalla discussione

Il dibattito attuale si concentra prevalentemente su come respingere e scoraggiare i migranti, mentre viene trascurato ciò che potrebbe rendere la gestione dei flussi più ordinata e prevedibile. Proposte come la creazione di canali legali d’ingresso, investimenti nelle strutture di accoglienza e una cooperazione reale con i Paesi d’origine sono raramente discusse. Sebbene il nuovo pacchetto possa rendere alcune procedure più uniformi e veloci, è improbabile che risolva i problemi strutturali che affliggono la politica migratoria europea da anni. La riforma sembra più orientata a rispondere a pressioni politiche che a costruire una strategia sostenibile. Ora, la parola finale spetta al Parlamento europeo, che dovrà decidere se approvare il cambiamento voluto dalla destra europea.

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