I 15 migliori ospedali d’Italia: eccellenze sanitarie prevalentemente al Nord, solo uno al Sud

Rosita Ponti

Dicembre 9, 2025

La mappa della sanità italiana nel 2025 evidenzia un quadro ben definito, con una netta predominanza delle strutture d’eccellenza localizzate nel Centro-Nord. Dei quindici ospedali considerati “top”, quattordici si trovano in queste aree, con la Lombardia in testa grazie a cinque centri di alta qualità. Il Veneto segue con tre strutture, mentre l’Emilia-Romagna ne conta due. Toscana, Marche e Umbria contribuiscono ciascuna con un ospedale. Al Sud, l’unica struttura di eccellenza è l’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli, situata in Campania. Questo dato diventa ancora più significativo se si considera che delle 117 strutture analizzate in tutte le otto aree previste, solo due raggiungono livelli “alto” o “molto alto” in ogni ambito.

Ospedali in difficoltà: 198 strutture da migliorare

Un’analisi più approfondita rivela un’Italia sanitaria che fatica a mantenere standard adeguati. Ben 198 ospedali, pari al 22% delle 871 strutture sottoposte al sistema di valutazione “treemap”, presentano complessivamente 333 punti critici e necessitano di audit volontari per il miglioramento. Le criticità sono concentrate principalmente nella gestione della gravidanza e del parto, oltre che nell’area cardiocircolatoria. La distribuzione geografica dei centri da “verificare” mette in luce le difficoltà del Meridione: 51 ospedali in Campania, 43 in Sicilia, 19 in Puglia e 12 in Calabria richiedono interventi migliorativi. Anche la Lombardia, considerata la locomotiva del sistema sanitario italiano, non è esente da problemi, con 14 strutture identificate come problematiche.

Valutazione delle performance regionali

Nel campo cardiocircolatorio, gli ospedali che ottengono i punteggi più alti si trovano per lo più in Lombardia, con alcune eccellenze anche nel Lazio. Qui, il sistema delle reti di emergenza cardiologica, che suddivide i centri in hub e spoke, ha permesso di concentrare i casi di infarto nelle strutture qualificate, portando a una riduzione del 21% degli episodi in un decennio. Per quanto riguarda il sistema nervoso, analizzato attraverso due indicatori specifici, la maggior parte delle strutture che eccellono si trova ancora al Centro-Nord. La chirurgia oncologica, valutata su sette indicatori, mostra una predominanza di Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna, ma registra anche buone performance in Veneto, Liguria, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Campania e Sicilia.

Gravidanza e parto: eccellenze e criticità

Nel settore della gravidanza e del parto, valutato con quattro indicatori, si contano 53 strutture che hanno raggiunto un livello “molto alto”, per lo più concentrate al Nord. Tuttavia, questa area presenta ancora delle ombre: l’Italia continua a registrare un tasso di cesarei superiore al 15% raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. I tagli cesarei sono scesi dal 25% del 2015 al 22% del 2024, una riduzione insufficiente rispetto agli standard internazionali. Le differenze territoriali sono evidenti: al Sud, i valori mediani superano spesso il 25%, con punte del 30% e persino del 35%. Inoltre, diverse aree mantengono aperti punti nascita con meno di 500 parti all’anno, nonostante le disposizioni di legge prevedano la chiusura di tali strutture.

Progresso in ortopedia e chirurgia mininvasiva

Nel settore osteomuscolare, analizzato attraverso sei indicatori, delle 231 strutture che hanno raggiunto un livello “molto alto”, 126 sono state valutate su almeno cinque parametri. Anche in questo caso, la concentrazione è maggiore al Nord. Un aspetto positivo riguarda l’innovazione tecnologica: l’approccio mininvasivo in chirurgia sta aumentando, riducendo il rischio di complicanze come le infezioni. La robotica sta trovando sempre più applicazione, soprattutto in ambito urologico, dove si supera l’80% di interventi rispetto alla chirurgia tradizionale “open”.

Le dichiarazioni del ministro Schillaci

Orazio Schillaci, ministro della Salute, ha commentato i dati evidenziando che “quando il sistema opera con standard nazionali basati su riferimenti normativi precisi e con strumenti efficaci di monitoraggio, il sistema globalmente migliora”. Il ministro ha sottolineato i progressi nell’oncologia, con la chirurgia della mammella che è passata dal 72% nel 2015 al 90% nel 2024, e il tumore del polmone dal 69% all’83%. Schillaci ha confermato che la qualità e la sicurezza delle cure sono migliorate grazie alla concentrazione degli interventi complessi in strutture qualificate, ma ha anche riconosciuto il persistere di un significativo divario Nord-Sud, in particolare per interventi oncologici complessi come quelli relativi al tumore del pancreas, con solo il 28% effettuati in centri ad alto volume.

La governance e l’aggiornamento necessario

Giovanni Baglìo, direttore scientifico del Programma Nazionale Esiti, ha affermato che “il sistema è in grado di evolvere quando vi sono riferimenti chiari a livello nazionale e quando i sistemi di monitoraggio riescono a fotografare e sostenere il cambiamento”. Tuttavia, le soglie previste dal decreto ministeriale 70 del 2015 non sono state stabilite per tutte le patologie e necessitano di un aggiornamento dopo dieci anni. Casi emblematici come quello del tumore del retto mostrano un peggioramento, con una diminuzione delle strutture ad alto volume dal 30% al 22%. Anche il bypass aortocoronarico presenta difficoltà a concentrarsi a causa dell’elevato numero di cardiochirurgie.

Monitoraggio della sanità territoriale

Il monitoraggio della sanità territoriale rimane incompleto. Agenas utilizza attualmente indicatori indiretti come l’ospedalizzazione evitabile e gli accessi impropri al Pronto Soccorso. I dati rivelano che per lo scompenso cardiaco non si registrano miglioramenti e persiste un’ampia variabilità territoriale. La situazione del diabete è ancora più critica, con il tasso di ospedalizzazione per complicanze come l’amputazione degli arti che risulta doppio rispetto alla media nazionale. La sfida futura sarà quella di verificare l’attuazione del decreto ministeriale 77 del 2022, che ha ridefinito l’organizzazione delle cure primarie nel contesto del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, un’area cruciale per ridurre il divario tra territori e garantire cure appropriate ed efficaci in tutta Italia.

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