Italia: nuove direttive per ridurre il consumo di cibi ultraprocessati

Rosita Ponti

Dicembre 18, 2025

Ogni giorno, nei carrelli della spesa degli italiani, si afferma una categoria di prodotti che rappresenta una minaccia silenziosa per la salute: gli alimenti ultraprocessati (UPF). Secondo recenti ricerche, in alcune nazioni occidentali questi alimenti costituiscono fino al 50-60% dell’apporto calorico giornaliero, mentre in Italia si attestano attorno al 20%, con una crescita costante. Studi recenti evidenziano un collegamento tra il consumo di UPF e un incremento della mortalità del 15-20% per tutte le cause, nonché del 12-18% per decessi legati a malattie cardiovascolari. Anche un’assunzione modesta di 100 grammi al giorno è associata a un aumento di ipertensione e malattie cardiache. Ridurre il consumo di questi alimenti del 10% potrebbe comportare una diminuzione del 14% del rischio di sviluppare diabete di tipo 2. Queste preoccupazioni hanno spinto l’Intergruppo parlamentare Stili di vita e Riduzione del rischio a organizzare un convegno a Roma, presso Palazzo Grazioli, il 15 gennaio 2025, intitolato “Alimenti ultraprocessati e salute. Dalla classificazione Nova alle politiche pubbliche”, con l’obiettivo di tradurre le evidenze scientifiche in politiche di prevenzione.

Il convegno e le sue finalità

L’evento mira a redigere un position paper che guiderà le politiche nazionali nei prossimi anni. Questo documento, frutto di un confronto tra esperti, istituzioni e stakeholder, fornirà raccomandazioni su vari aspetti, tra cui regolamentazione, etichettatura, educazione, ricerca e monitoraggio. Si intende affrontare l’impatto multidimensionale degli UPF su salute, economia, ambiente ed equità sociale. Dopo i saluti della presidente dell’intergruppo, Simona Loizzo, l’agenda prevede interventi di esperti come Duilio Carusi (Osservatorio Benessere e Resilienza), Massimo Ciccozzi (Campus Bio-Medico), Francesco Sofi (Ospedale di Careggi), Marialaura Bonaccio (Neuromed, studio Moli-sani), Alessio Molfino (Università Sapienza) e Giuseppe Novelli (Genetica Medica Tor Vergata). La sessione si concluderà con una tavola rotonda multidisciplinare, alla quale parteciperanno Fabio Beatrice (Mohre), la parlamentare Eleonora Evi, Stefano De Lillo (Ordine dei Medici Roma), Francesco Luongo (Heated Community Hub), Enrico Prosperi (Società Italiana Educazione Terapeutica), Francesco Pozzi (IULM) e Daniela Galdi (Lifeness).

Urgenza della discussione

Simona Loizzo ha evidenziato l’urgenza di affrontare il tema degli UPF prima che l’Italia raggiunga i livelli di altri Paesi in cui questi alimenti dominano la dieta quotidiana. Ha sottolineato come la prevenzione sia più efficace e meno costosa rispetto agli interventi tardivi, e ha messo in luce la necessità di politiche di contenimento, soprattutto in contesti dove i consumi sono ancora sotto controllo. Gli esperti avvertono che il carico sui sistemi sanitari è destinato a crescere in modo esponenziale, con proiezioni che indicano un incremento della spesa sanitaria del 15-25% entro il 2040, se non verranno adottate politiche preventive adeguate.

La questione dei costi

Johann Rossi Mason, direttrice dell’Osservatorio Mohre, ha spiegato che l’idea di questo convegno è scaturita da una domanda fondamentale: perché i cibi pronti costano meno dei singoli ingredienti, nonostante il loro processo industriale? La risposta risiede nel fatto che tali alimenti non utilizzano materie prime di qualità, ma surrogati; la lavorazione riduce i nutrienti essenziali e il sapore, che vengono poi ripristinati con sostanze chimiche per migliorarne l’aspetto e la durata sugli scaffali. Una recente ricerca pubblicata su Nutrition & Metabolism ha dimostrato che un aumento del 10% degli UPF nella dieta può incrementare il rischio di prediabete del 51% e alterare la tolleranza al glucosio del 158%. È cruciale affiancare l’informazione a politiche sistemiche in grado di limitare la diffusione di questi prodotti e contrastare la creazione di un ambiente “obesogeno”.

Rischi per la salute

Marialaura Bonaccio, ricercatrice presso l’Irccs Neuromed di Pozzilli, ha confermato come lo studio Moli-sani, condotto su oltre 24.000 partecipanti nella regione Molise, abbia evidenziato che anche la popolazione mediterranea, tradizionalmente protetta da abitudini alimentari più salutari, corre gli stessi rischi associati al consumo di UPF documentati a livello globale. I risultati sono stati ulteriormente avvallati da una recente serie di Lancet, “Ultra Processed Food and Human Health”, presentata a Londra nel novembre 2024. L’esposizione a una dieta caratterizzata da un alto consumo di UPF compromette la qualità alimentare. Nelle famiglie che consumano regolarmente questi prodotti, si osservano riduzioni significative nella quantità di frutta, verdura, cereali integrali, fibre e grassi vegetali. Numerosi studi collegano il consumo di UPF ad almeno 32 malattie croniche.

Classificazione e impatti

Infine, Bonaccio ha chiarito che gli alimenti ultraprocessati, secondo la classificazione Nova, sono formulazioni industriali composte da cinque o più ingredienti, contenenti sostanze raramente utilizzate nella cucina casalinga. Questi alimenti non rappresentano solo un problema legato all’eccesso di zuccheri, grassi e sale, ma sono anche una fonte significativa di additivi alimentari, come coloranti e conservanti, il cui scopo principale è migliorare sapore e aspetto, piuttosto che le proprietà nutrizionali. Recenti studi pubblicati su The British Medical Journal e The Lancet hanno documentato associazioni significative con malattie cardiovascolari, tumori e disturbi mentali, inclusi depressione e ansia. Gli esperti concordano sull’efficacia di interventi regolatori. È fondamentale che l’Italia sviluppi una strategia sistemica per tutelare la salute dei cittadini, in particolare delle fasce più vulnerabili, preservando al contempo la tradizione alimentare mediterranea e la cucina italiana, recentemente riconosciuta come Patrimonio immateriale dell’umanità dall’UNESCO.

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